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SCENA PRIMA
Camera di ritiro di donna Violante, con un tavolino carico di libri e fogli e calamaio ecc.
Donna Violante sedendo al tavolino e leggendo, ed Argentina
VIO. Aspetta. Lasciami terminare questa facciata.
ARG. (In verità, ho paura che la poverina voglia impazzire. In otto o nove mesi di vedovanza, ha fatte tante stravaganze ch'io non la so capire). (da sé)
VIO. (Legge forte) Perciocché ella è voce generale, e dicendosi versi senz'altra specificazione, si possono intendere così i greci, come i latini, come i toscani, e come quelli di ogn'altra lingua, che già quando il Petrarca disse... (piega la carta) Via, parla: che cosa mi vuoi dire?
ARG. Mi pareva che non aveste terminato il senso.
VIO. Io finisco di leggere, quando è terminata la pagina.
ARG. Quando io andava alla scuola, la maestra non m'insegnava così.
VIO. Don Pirolino, mio nipote, mi fa studiare quattro pagine al giorno; e non vuole ch'io passi oltre.
ARG. Voleva dirvi, prima d'ogni altra cosa, aver io sentito che il signor Pantalone vuol dar marito alla signora donna Elvira, vostra cognata.
VIO. Non è suo zio, che si curi di maritarla. Ella è, che ha volontà di marito. Ma spero io ancora di passare alle seconde nozze, prima ch'ella si vegga coll'anello in dito.
ARG. Permettetemi ch'io dica, che a quest'ora il nuovo sposo lo avereste ritrovato, se vi conteneste da vedova, come avete fatto da fanciulla e da maritata. Ma... compatitemi: avete mutato intieramente il modo di vivere. Vi siete data a tre o quattro cose, che sono poi anche fra di loro contrarie. Queste critiche le sento dire, e mi vengono i rossori sul viso per parte vostra. Non voleva dirvelo, ma mi reputerei una serva indegna, se non parlassi col cuor sulle labbra alla mia padrona.
VIO. Cara Argentina, invece di riprenderti ti ammiro, ti lodo e dell'amor tuo ti son grata. Lascia però ch'io ti dica che hai poco spirito, e che sentendo parlar di me, non distingui la verità dall'invidia. Odimi, ti voglio ammettere all'ultima confidenza. Voglio svelarti il mio cuore in una maniera che a me medesima qualche volta ho soggezione di fare. Io mi sono maritata assai giovine; sono rimasta vedova in una età che non invidia niente quella di mia cognata. Tuttavolta quel primo fiore di gioventù, Argentina mia, se n'è ito; e il nome di vedova in qualunque età è sempre per la femmina svantaggioso. La bellezza, se ve ne fosse, se ne va in pochissimi anni. La mia dote, tu lo sai, non arriva a seimila scudi. Li ventimila, che mi ha lasciati mio padre, mi sono acerrimamente contrastati da' miei cugini; e la causa è pericolosa. In questo stato in cui mi ritrovo, la sola apprensione di restare in un canto sprezzata, o non curata, mi fa sudare qualunque volta ci penso. Ecco la ragione, per cui procuro essere fiancheggiata da quelle prerogative che mi possono mettere in maggior credito, in maggiore riputazione. Un poco di lettere, un poco di brio, un misto di serietà e di ridicolo per adattarsi ai caratteri delle persone; saper dire la barzelletta; saper dar la burla con grazia; stare all'occasione del tavolino e della bottiglia, sono cose che piacciono alla gente allegra. Parlar d'istorie, dir qualche verso; entrare in materia di politica, di erudizione, sono qualità che innamorano i dotti, e sono cose che durano assai più d'un bel viso; sono meriti che si conservano nell'età più avanzata; e tante e tante volte una vecchietta graziosa e dotta fa disperare le più giovani e le più belle, perché senza spirito e senza grazia.
ARG. Voi parlate assai bene; voi avete delle massime buone. Ma, a buon conto, il maestro che avete scelto per erudirvi, è uno sciocco.
VIO. Non è vero. Mio nipote sa quanto basta; ed io mi prevalgo di lui, perché ho della confidenza, né voglio che si dica, prendendo un altro maestro, che principio oggi a studiare.
ARG. Ma non vedete, signora mia, che perdete il tempo, e potreste a quest'ora essere rimaritata? In verità fate torto a voi stessa a credere d'aver bisogno di maggior merito per essere amata. Tutti quelli che frequentano la vostra conversazione, e non sono pochi, tutti bramerebbero di conseguirvi.
VIO. Ho timore che mi coltivino per la speranza della mia eredità e che, perduta questa, mi lascino.
ARG. Il signor don Fausto, secondo me, vi ama più di tutti, e senza alcun interesse. Egli è un giovane che mi piace assaissimo, schietto, sincero...
VIO. Sincero un poco troppo. Anch'io, per dirti la verità, lo stimo e lo amo sopra d'ogni altro; ma ha un certo non so che di aspro qualche volta, e piccante, che incomoda infinitamente.
ARG. Egli ha per voi il maggior rispetto che possa aversi.
VIO. Te lo giuro: don Fausto mi piace infinitamente.
ARG. Piace anche a vostra cognata: e se voi lascierete correre...
VIO. Come! Mia cognata ardirebbe di frammischiarsi nella mia conversazione? Se ardirà alzar gli occhi soltanto ad uno di quelli che hanno della parzialità per me, le farò quello che forse non le averà mai fatto sua madre.