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Il Servitore e dette; poi Donna Violante.
SERV. Signora, è qui donna Violante, che desidera riverirla.
AUR. Padrona. (al Servitore, alzandosi)
ELV. Oh diamine! aspettate. (al Servitore, alzandosi) Donna Aurelia, quest'incontro è pericoloso.
AUR. Potete passare in un'altra camera. Fa che venga donna Violante. (al Servitore, che parte)
ELV. A voi mi raccomando. (parte)
AUR. Oh va, che sei bene raccomandata. Io non credeva in tal guisa avermi da moltiplicare il divertimento con tutte due le cognate.
VIO. Amica, compatite s'io vengo a recarvi incomodo.
VIO. Honor est honorantis, dice il latino. Ma lasciamo le cerimonie, e permettetemi ch'io vi dica...
VIO. Niente, niente. (Poverina! non intende). (da sé, siede) Permettetemi che io vi dica: mia cognata dov'è?
VIO. Cara amica, non mi fate parlare.
AUR. Anzi, se siete amica, non dovete tacere.
VIO. Ho veduto il servitor di don Fausto sulla vostra porta; gli ho chiesto se vi era qui il suo padrone, ed ei rispose: lo aspetto.
VIO. E per questo in buona argomentazione posso conchiudere: ergo donna Aurelia ha messo l'accordo.
AUR. Donna Violante, voi mi fate ridere.
VIO. Non rido io, donna Aurelia; non rido, perché son tocca.
VIO. La verità non la so nascondere. Amo don Fausto, e chi cerca rapirmelo è mio nemico, e chi vi coopera non ridebit.
VIO. Voi non intendete il latino. Ho detto, chi vi coopera non riderà.
AUR. (Oh quanto mi dispiace, che a questa scena non vi sia nessuno!) (da sé)
VIO. Credono, perché io mi sono data alle lettere, che non veda, non sappia e non conosca le loro insidie: ma assicuratevi, donna Aurelia, che benché io abbia
Pien di filosofia la lingua e il petto;
saprò anche, occorrendo,
Rotar la spada e insanguinar le mani.