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VIO. Si può sentire di peggio? (osservando la carta)
ARG. Ma perché, signora, andar in collera in quella maniera? Finalmente non è una gran cosa.
VIO. Non è una gran cosa? Una satira di questa sorta non è una gran cosa?
ARG. Una satira? Chi l'ha fatta?
VIO. Quel temerario di don Roberto
ARG. Ah indegno! Fa il cascamorto con voi, e poi vi manda le satire. Vedete, se il povero don Fausto dice sempre la verità?
VIO. Sì, lo conosco. Don Fausto mi ama; egli mi parla schietto, perché ha dell'amore per me. Basta che si moderi nel perseguitare il genio che ho per le lettere; del resto poi conosco ch'egli è il più sincero de' miei amici. Spiacemi averlo disgustato. Argentina, procura di ritrovarlo. Digli che mi preme comunicargli un affar d'importanza, che venga subito e che non manchi.
ARG. Sì, signora, anderò a cercarlo per tutto. Voglia il cielo che una volta diciate con lui davvero. (va per partire)
VIO. Della satira non gli dir nulla per ora.
ARG. Oh, signora no. (Questa ha da essere la prima cosa che io gli dico; e se trovo don Roberto, gli voglio dire le parolette turchine). (da sé, e parte)