Carlo Goldoni
La donna di testa debole

ATTO TERZO

SCENA UNDICESIMA

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SCENA UNDICESIMA

 

Camera.

 

Donna Violante sola, poi Argentina con lettera.

 

VIO. Ma se don Pirolino sostiene costantemente che la causa è persa, e contro di me pronunziata; se con tanta franchezza la spiega, la traduce, l'intende, dovrò io credere d'aver vinto, dovrò cantare il trionfo prima d'esserne assicurata? No certamente, non fogran torto a don Pirolino.

ARG. Signora padrona, ho da darle una cosa che mi fa paura.

VIO. Che cosa?

ARG. Una lettera insanguinata.

VIO. Insanguinata? come? da chi?

ARG. Il povero don Fausto, ferito in una mano da don Roberto, l'ha scritta colla mano offesa e l'ha sporcata con il suo sangue. In verità mi rimescolo tutta. Non ho coraggio di rimirarla.

VIO. Da' qui, da' qui. Il sangue non mi fa tremare. Ho uno spirito forte nientemeno di Bradamante, e saprei anche, se abbisognasse, vestir la lorica, e imprigionar le chiome nell'elmo.

ARG. (Frutto della lettura dei romanzi). (da sé)

VIO. Perché don Roberto ha ferito don Fausto?

ARG. Perché don Fausto l'ha sfidato per causa vostra.

VIO. Il battersi per le donne è stata sempre azione da cavaliere. Anche don Chisciotte l'ha fatto per la sua bellissima Dulcinea.

ARG. Ma vedete un poco, signora, che cosa vi scrive quel povero disgraziato.

VIO. Sì, leggiamo. Oimè, questo sangue! Mi sento un certo affanno di cuore. Eh, che una donna di spirito non dee avvilirsi per così poco. Leggiamo. Se questo sangue che per voi io verso... Oimè, non ci vedo più.

ARG. Che cos'è, signora?

VIO. Niente. Il troppo studiare mi ha indebolita la vista: questo carattere l'intendo poco. Argentina, leggi tu questa carta.

ARG. Lo farò per obbedirvi; leggerò come saprò. Se questo sangue che per voi io verso... Signora padrona, in verità mi si move lo stomaco, non posso più andar innanzi.

VIO. Da' qui, scioccarella... Può farvi fede dell'amor mio, vengo ad assicurarvi che morirò piuttosto... Mi si offuscano gli occhi. Aiutami, Argentina.

ARG. Finiamola, se si può... Che morirò piuttosto che abbandonarvi.

VIO. Ma quando sapesse ch'io avessi perduta la lite...

ARG. Sentite, a proposito della lite. Sa che l'avete perduta.

VIO. Ah! non vi è più lusinga. Anch'egli che la lite è perduta. In tal proposito, che cosa dice?

ARG. La perdita dei ventimila scudi non vi avvilisca; poiché la mia mano può rimediare alle vostre disavventure, ve la esibisco di cuore.

VIO. Me la esibisce?

ARG. Sì, chiaramente.

VIO. Con tutta la perdita della mia lite?

ARG. Non lo sapete che don Fausto è del miglior cuore del mondo?

VIO. Vi è altro nella lettera?

ARG. Vi sono delle altre righe; ma qui vi è una parola coperta da una goccia di sangue. Osservate.

VIO. No, non la voglio vedere.

ARG. Né men io certamente.

VIO. Finisci di leggere.

ARG. Non v'è dubbio. Or ora mi mancano le gambe sotto.

VIO. Orsù, abbiamo inteso tanto che basta.

ARG. Sento gente (parte)

 

 

 


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