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PANT. Oh, son qua, siora nezza. Questo xe el sior nodaro che ha mandà la copia della sentenza, e el dise, e el ne assicura, che la causa l'avemo vadagnada.
NOT.Sì signora, non vi è alcun dubbio. Ella ha vinto la causa, e la parte avversaria è ancor condannata nelle spese.
ROB. (Oh diamine! la cosa cambia di aspetto). (da sé)
GIS. (Ventimila ducati non sono un piccolo patrimonio) (da sé)
PANT. Don Pirolino xe un ignorantazzo.
VIO. E tutte queste persone che mi assicurano aver io perduta la lite, con che fondamento me l'hanno detto?
FAU. A me lo disse il mio servitore Brighella, per averlo sentito dire a don Pirolino.
VIO. E voi, don Roberto, da chi l'avete saputo?
ROB. Me l'ha dato ad intendere don Gismondo.
GIS. Io l'ho sentito dire a don Pirolino.
VIO. E voi altre, signore, perché avete detto lo stesso?
AUR. Domandatelo a donna Elvira. Io l'ho inteso dire da lei.
ELV. Ed io l'ho inteso dire a don Pirolino.
PANT. Ecco qua el fondamento de sti descorsi: don Pirolino.
PANT. El xe un pezzo de aseno, che no sa gnente. Questa xe la copia della sentenza, e avemo vadagnà.
VIO. Caro don Fausto, leggetela voi.
FAU. Volentieri. Favoritemela. (a Pantalone)
PANT. La toga, e la persuada, se se pol, quella bona testa.
ELV. (Ah, come presto si cambiano le speranze in seno!) (da sé)
FAU. Sì donna Violante, consolatevi, la causa è vinta. Voi siete l'erede dei ventimila ducati. Godeteli, che il cielo vi benedica.
VIO. Ah don Fausto, li goderò più contenta, se voi mi onorerete della vostra mano.
ROB. Signora donna Violante, me ne consolo di cuore; ora potrete con maggior tranquillità coltivare il vostro talento.
GIS. Sarebbe un peccato che abbandonaste gli studi.
ROB. Disponete di me, disponete di un vostro servo.
GIS. Nelle questioni, nelle accademie, io terrò sempre dalla vostra parte.
VIO. Ed io da questo punto determino, propongo e giuro, che né voi, né altri della vostra fatta, saranno mai più in casa mia tollerati. Andate da me lontani, perfidi adulatori, mendaci, che innamorati della mia eredità deste fomento alle mie illusioni. Don Fausto, uomo saggio, uomo veramente sincero, compatite se ho fatto sì lungamente dei torti al vostro merito. Conosco adesso la verità. Sono disingannata. Ringrazio il cielo che mi ha concesso li ventimila ducati, e questi alla mia mano uniti a voi li offerisco, a voi li dono, in premio della vostra sincerità. (gli dà la mano)
FAU. Non per i ventimila ducati, ma per la speranza che ritorniate quella saggia donna che foste, vi do la mano e vi prometto esser vostro.
GIS. (È fatta). (da sé)
ROB. (Non c'è più rimedio). (da sé)
GIS. Mi rallegro infinitamente con i signori sposi. Se posso servirli, mi comandino. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)
ROB. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)
FAU. Perfidi! mi renderete conto...
PANT. Lassè che i vaga sti musi da do musi; no ghe stè a badar.
ELV. Ecco: la signora cognata ha ritrovato marito, e di me, signor zio carissimo, non si parla?
PANT. Stè attenta, che ve toccherà la volta.
AUR. Donna Violante, mi rallegro con voi.
VIO. Spero, donna Aurelia, che alle mie spalle avrete terminato di ridere.
AUR. Io?
VIO. Sì, vi conosco. Mi avete anche voi stuzzicata a scrivere, per aver nuova materia da pascolar le conversazioni.
AUR. Oh, in quanto a questo ne avete fatte tante, che per degli anni siamo ben provveduti. Signor don Fausto, mi rallegro, se la godi, riverisco tutti. (parte)