Carlo Goldoni
L'impostore

ATTO SECONDO

SCENA TERZA

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SCENA TERZA

 

Orazio ed Ottavio.

 

ORAZ. (Misero me! Se n'esco con costui, non m'impiccio mai più). (da sé)

OTT. Signor capitano, i pazzi pur troppo, per debolezza di spirito, dicono sovente la verità. Vi prevalete della sua innocenza per un fine sospetto; e però a me dovete voi render conto di questa vostra condotta.

ORAZ. Torno a ripetervi, che sono qui in cerca del signor Pantalone, per interessi che passano fra lui e me per una cambiale, per il vestiario de' miei soldati, e per cose simili. Io non ho ardito di domandare la sorella vostra. Ma s'ella ha qualche inclinazione per me, se il signor Flaminio, mosso piuttosto dalle preghiere sue che da altro, ha procurato che io le parlassi, sono un uomo d'onore incapace d'abusarmi delle finezze di una giovane onesta, incapacissimo di oltraggiar una casa onorata, e nemmeno con il pensiero oserei di tradire l'amicizia, la fede, la delicatezza dell'onor mio.

OTT. Supponete voi dunque, che mia sorella possa avere dell'inclinazione per voi?

ORAZ. Sì, signore: ho qualche ragione di crederlo; e vi dirò di più ancora, se nol sapete, aver io tutta la stima ed il più tenero amore verso di lei.

OTT. Non dite poco, signor capitano.

ORAZ. Ho fatto dire assai più al signor vostro padre.

OTT. Che gli avete voi fatto dire?

ORAZ. Che desidero la di lui figliuola in isposa.

OTT. E qual risposta ne avete voi riportata?

ORAZ. Favorevole più ch'io non mi era creduto.

OTT. Mio padre non mi ha ancor detto nulla.

ORAZ. Non crederà necessario di dirvelo.

OTT. Credo ben io necessario d'illuminarlo.

ORAZ. Di che, signore?

OTT. Di meglio assicurarsi dell'esser vostro, prima di sagrificare una figlia.

ORAZ. L'esser mio gli è noto bastantemente,

OTT. Con qual fondamento?

ORAZ. Con quello delle mie lettere e delle mie cambiali.

OTT. Eh! signore, vi sono dei belli spiriti in questo mondo.

ORAZ. Che vorreste voi dire?

OTT. Ho sentito in collegio raccontare di belle storie di caratteri, di firme e di bravure d'ingegno.

ORAZ. Come! Mi taccereste voi d'impostore?

OTT. Non ardisco di farlo; ma quando voi dubitaste che ciò di voi si temesse, sareste in impegno d'onore di giustificar l'esser vostro.

ORAZ. Come parrebbe a voi che io dovessi giustificarlo?

OTT. Di qual paese siete, signore?

ORAZ. Sono di questo mondo.

OTT. Il mondo è pieno d'uomini onesti e d'impostori indegni.

ORAZ. In quale di queste due classi intendereste voi collocarmi?

OTT. Datevi meglio a conoscere, e non avrò riguardo veruno a dirvi in faccia la mia sentenza.

ORAZ. La maniera vostra di rispondere è una manifesta temerità.

OTT. La condotta vostra è una manifesta impostura.

ORAZ. Se non foss'io in casa vostra, vi farei conoscere chi sono.

OTT. Usciamo in questo momento.

ORAZ. Uscirò anche troppo presto per voi. Vo' prima attendere vostro padre. Vo' esigere il mio denaro, e poi, signor gradasso, ci proveremo. Vedrete la differenza che passa fra il fioretto e la spada.

OTT. Voglio vederla adesso questa differenza.

ORAZ. Di qui non esco, senza il pagamento della cambiale.

OTT. Giuro al cielo. (mette mano alla guardia della spada)

ORAZ. Perdereste il rispetto alla vostra casa?

OTT. No; ad onta della mia collera, conosco il dover mio. Non posso in casa mia attaccarvi; ma posso ben dirvi, che siete un vile.

ORAZ. Ed io posso rispondervi, che siete un temerario.

OTT. Chi in casa mia m'insulta, o esca per soddisfarmi, o lo farò tosto balzare da una finestra.

 

 


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