Carlo Goldoni
L'impostore

ATTO TERZO

SCENA DECIMA

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SCENA DECIMA

 

Camera in casa di Pantalone.

 

Pantalone ed Ottavio

 

OTT. Caro signor padre, permettetemi che con tutta umiltà e rispetto vi dica, che l'interesse dee prevalere fino ad un certo segno, ma la fede... ah signore, la fede è il miglior capitale delle persone onorate.

PANT. Per che motivo, sior dottor della favetta, me feu sta lizion?

OTT. Torno a chiedervi umilmente scusa; Fabio Cetronelli ebbe da voi la parola...

PANT. Fabio Cetronelli xe un strambazzo; l'è vegnù a casa nostra a fame delle bulae: lo savè pur.

OTT. Chi gli ha dato motivo di mettersi a tal cimento?

PANT. Chi ghe l'ha ? La so stramberia.

OTT. Ah signor padre, perdonatemi. Un uomo d'onore, che vedesi mancar di parola, è compatibile se non sa frenare lo sdegno.

PANT. E po l'ha squasi mazzà sior Ridolfo.

OTT. Ridolfo lo ha provocato, ha voluto battersi seco lui per forza.

PANT. Scuselo quanto che volè; ve digo che el xe un omo pericoloso, e no me fido a darghe mia fia.

OTT. Per amor del cielo, scusatemi. Queste riflessioni si dovevano fare prima di dargli parola.

PANT. Saralo questo el primo contratto de nozze che sia andà a monte?

OTT. No, signore. Se ne sciolgono tutto giorno, ma con qualche onesta ragione.

PANT. Chi ve sente vu, sior, mi son una bestia senza rason.

OTT. No, signor padre, difenderò l'onor vostro a costo di spargere tutto il mio sangue: ma qui, fra noi, posso dirvi che Orazio vi ha affascinato.

PANT. Sto sior Orazio, per dir la verità, capitanio o colonnello che el sia, el m'ha messo un pochetto in sconcerto; sto vestiario che el m'ha fatto far, me costa assae e se nol lo tiol, la xe per mi una mezza ruvina.

OTT. Eh caro signore, peggio per voi, se lo prende. Finalmente la roba, quantunque rimanga nei magazzini, se non si vende un giorno, si vende l'altro; ma s'egli vi porta via gli abiti, e non li paga, perdete tutto, senza speraza di ricuperar cosa alcuna.

PANT. Vedeu? No savè cossa che ve disè. Con una cambial che ghe doverave pagar, de tremile zecchini, squasi squasi se pareggia el conto dell' del vestiario

OTT. Questa cambiale di tremila zecchini non potrebbe essere falsificata?

PANT. Via. Cossa diavolo diseu? Chi v'ha insegnà sospettar dei omeni in sta maniera?

OTT. Degli uomini che non si conoscono, degli uomini che non rendono conto dell'esser loro, non è colpevole il dubitare; e nel caso nostro viene autenticato il ragionevole mio sospetto da un altro mercante, che non crede ad Orazio come voi credete.

PANT. Chi xelo questo?

OTT. Il signor Salamone, uomo onorato, ma cauto e circospetto. Sopra di lui Orazio ha una cambiale simile di tremila zecchini a vista, ma egli non gliela paga, se prima non ha ordini replicati dal supposto traente: con ciò viene a sospettare di quello che l'esibisce, e Orazio non insiste, segno manifesto di qualche interno rimorso.

PANT. Voleu che ve la diga, che sta cossa me fa sospettar anca mi?

OTT. Aprite gli occhi, signor padre. Vi sono degl'impostori moltissimi per il mondo.

PANT. Caro fio, no so cossa dir. Mi, quel che fazz lo fazzo per ben; per mantegnir onoratamente la mia fameggia. Savè anca vu quanto che ho speso fin adesso per mantegnirve in collegio con reputazion.

OTT. Vi pare di aver gettato il denaro?

PANT. No, fio mio, lo benedisso mille volte, e non ho speso bezzi al mondo con più profitto de questi. Sto solo avviso che me adesso el vostro amor, la vostra prudenza, recompensa tutte le spese che ho fatto in tanti anni per vu.

OTT. Voglia il cielo ch'io possa in ogni tempo mostrarvi...

 

 


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