Carlo Goldoni
L'impostore

ATTO TERZO

SCENA ULTIMA

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SCENA ULTIMA

 

Pantalone, il Dottor Polisseno, Ottavio, Ridolfo, Tenente, e detti

 

CAP. Eccolo, signor tenente. Si è ritrovato, e con una pistola alla mano tentò resistere alle nostre armi.

TEN. Pagherà il fio di tutte le sue colpe.

ORAZ. Signore, ascoltatemi, se non siete inumano. La mia nascita è assai civile; la disperazione mi fece fare soldato; la sinderesi mi obbligò a disertare, e l'esempio di tanti altri m'insegnò la scuola degl'impostori. Falsi caratteri, mentite impronte, macchine, falsità, estorsioni, sono colpe da me commesse dopo la diserzione. Son reo di morte, il confesso, ma voi mi potete salvare. Voi solo potete farmi quel bene, che un Consiglio di guerra non ha arbitrio di altrui concedere, che un re medesimo avrebbe soggezion d'accordare; potete farlo senza marca di disonore, senza timore d'imputazione, ed eccone il fondamento. Un reo che trovato sia in uno stato alieno, o non s'arresta, o con facilità si rilascia. Eccovi aperto il campo di usare la vostra pietà verso d'un infelice, di praticare un atto eroico in faccia a questi, che aspettano forse di conoscer chi siete dalle prove della vostra virtù. Signore, colle mie suppliche intendo muovervi per questa parte. Se ciò non vi tocca il cuore, è disperato il mio casoaspettate da me atti di maggiore viltà.

TEN. Amico, la vostra rettorica fa conoscere che vi hanno fatto studiare, ma che male siete riuscito, usando a danno vostro quel talento medesimo che il cielo vi avea per vostro bene concesso. Non è vero che stia in mia mano il darvi la libertà; ma quando ancora ciò fosse, ho appresa la massima, che il perdono concesso ai rei la cagione sia de' nuovi loro misfatti. Dovrete con noi venir dinanzi al vostro e mio Generale: verravvi Brigliella ancora, e deciderà il Consiglio di guerra.

DOTT. Io intanto ringrazio il signor colonnello della patente che mi voleva dare d'auditore, donandogli, per iscarico di sua coscienza, tutto quello che mi ha mangiato, e consolandomi delle sue bandiere. Posso dire, se pure è vero? (a Ridolfo)

RID. Sì, pur troppo egli è vero che è un perfido, è un impostore. Arrossisco della mia debolezza, e a voi, caro fratello, chiedo un perdono.

PANT. E i miei abiti? Cossa ghe ne faroggio?

ORAZ. Non mi affliggete d'avvantaggio. Tutti quanti qui siete, carnefici mi sembrate, che lacerate il mio cuore.

PANT. Ve paremo tanti boia? E vu me parè un bel galiotto. Sior tenente, quei vintiquattro abiti coi qua xe vestia quella zente che vien adesso con ella, i xe roba mia, glie li ho dadi mi, e nol li ha pagai.

TEN. Bene, lo dirò al colonnello.

OTT. Signor padre, vorrei supplicarvi d'una grazia.

PANT. Parla, fio mio, domanda quel che ti vol! siestu benedetto, che ti m'ha avvisà per mio ben.

OTT. Vorrei che quei ventiquattro abiti li donaste a me.

PANT. Sì, volontiera, te li dono; prego el cielo che i te li paga, e to sorella sarà muggier de sior Fabio.

OTT. Sente, signor tenente? Quegli abiti, quelle armi, sono cosa mia.

TEN. Procurerò che siate soddisfatto.

OTT. Ciò non mi preme, poiché alla presenza vostra, di quegli abiti, di quelle armi, faccio un dono ad Orazio; ma siccome egli forse non sarà in istato di poterne godere, questi per sua cagione resteranno liberi al reggimento. In gratificazione dell'amor mio, e di un accidente che rende Orazio al suo reggimento benefico, una grazia chiedo al signor tenente, ed è questa: che siccome Orazio è stato preso in casa nostra, che è una casa onorata, libero sia dalla morte, e con questa fermissima condizione al suo Generale lo presenti. Mi si dirà forse: non posso farlo, non lo posso promettere. Signore, perdonatemi, l'avete a promettere, l'avete a fare. Il governatore, da me avvisato, con quest'unica condizione vi lascerà trasportare i due disertori. Altrimenti spedirà una staffetta alla capitale, che giungerà forse in tempo per liberarli. Senza ricorrere a tali estremi, gradite il dolce modo che io vi propongo, accettate la lieve offerta che vi esibisco, promettete per la di lui vita, e ritornate con una preda, che se non porta alle truppe vostre il terrore, recherà almeno un esempio del vostro zelo e della nostra docilità.

PANT. Tiò; siestu benedetto. (gli un bacio)

TEN. Persuaso dalle vostre buone ragioni, vi do parola che salvo egli sarà dalla morte.

DOTT. (È una buona ragione ventiquattro abiti). (da sé)

ORAZ. Sempre più confuso ed atterrito io resto col confronto di sì bella virtù all'aspetto delle mie colpe. Le detesto, le abomino, le maledico; e voglia il cielo che il resto di quella vita che menerò fra gli stenti, vaglia a scontare i miei passati delitti, e apprenda almeno dall'esempio il mondo, che poco dura e malamente termina la vita pessima dell'Impostore.

 

Fine della Commedia

 



[1] Della Letteratura Veneziana, Libri otto di Marco Foscarini cavaliere e Procuratore. In Padova, 1752. Edizione magnifica.

 


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