| 
   Punitemi, signore, s'io non vi dico il vero; 
  E ben potete voi punirmi in tal maniera, 
  Che della morte sia pena più cruda e fiera. 
  Se il Re mi condannasse, saprei morir contento: 
  La morte non è il male ch'io fuggo e ch'io pavento. 
  Ma a un suddito la vita togliere altrui non spetta; 
  altre saran le mire in voi della vendetta. 
  Che mai potete farmi? Con forza e con danari 
  Farmi insultar dai sgherri? Non è da vostro pari. 
  D'ingiurie caricarmi? Dirmi mendace, astuto? 
  Son povero, egli è vero, ma alfin son conosciuto. 
  La pena ch'io pavento, che a me da voi si appresta, 
  È della grazia vostra la privazion funesta. 
  Un uomo che all'onore consacra i suoi pensieri, 
  Ama le genti oneste, rispetta i cavalieri; 
  Ed essere da questi sprezzato e mal veduto, 
  È pena tal che al cuore porta uno strale acuto. 
  Povero nato i' sono; vivo co' miei sudori; 
  Condiscono il mio pane le grazie ed i favori. 
  Se voi sì saggio e onesto (per questo i' mi confondo), 
  Se voi mi abbandonate, di me che dirà il mondo? 
  Capace voi non siete di dir quel che non è, 
  Ma udransi i miei nemici a mormorar di me. 
  E voi, sol col privarmi di vostra protezione, 
  Fate la mia rovina, la mia disperazione. 
  Eccomi innanzi a voi, mi getto al vostro piede... 
   |