(Si alza furiosamente, e con intrepidezza, gettando
il suo bastone via.)
Olà, che ardire è questo?
Mira il ciel, che ti vede. A te con mano ardita,
Barbaro, non si aspetta togliere altrui la vita.
Sai chi ti vedi innanzi? Un uomo, una creatura,
Ch'è del supremo nume miracolo e fattura;
Un uom che, qual tu sei, vive soggetto al cielo,
Che spirito immortale rinchiude in uman velo;
Su cui l'arbitrio solo ha quel che l'ha creato,
E in terra l'hanno i regi, cui tal potere è dato.
Chi sei tu, che presumi di usar meco lo sdegno?
Sei tal, che per la colpa sei della vita indegno.
Vuoi tu ferirmi, audace? Vuoi bere il sangue mio?
Eccoti il petto inerme, ecco te l'offro anch'io.
Strano sarà che in Londra un uom cotanto ardisca;
Esclamano le leggi, che ogni uccisor perisca.
E se morir non temi, pur ch'io cada svenato,
Ferisci questo seno, carnefice spietato.
Come! Tu tremi? Abbassi per non mirarmi il ciglio?
Vergognati, paventa per te maggior periglio.
Temi che ad egual colpo ti renda il ciel soggetto;
Ma non avrai, crudele, la mia costanza in petto.
(Basta così, mi sembra il misero atterrito.
Troppo dissi. L'offesi; quasi ne son pentito). (Si
accosta, gli prende la mano, e gliela bacia umilmente, e parte senz'altro
dire, entrando nella bottega del libraio.)
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