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ROB. Cos'è questo strepito? Cosa sono questi gridori?
LIN. Niente, ella dice; ed io dicovi che v'è qualche cosa e qualche cosa di conseguenza.
ROB. (con agitazione) Ed in qual proposito?
ZEL. Signore, son disperata. Lindoro non ha più per me né amore, né stima, né carità.
ROB. Vostro danno: l'avete voluto a forza. L'ho preveduto che ve ne sareste pentita.
ZEL. (con tenerezza) Ah! non signore, non sono pentita; se non l'avessi sposato, lo sposerei.
ROB. (a Lindoro) Sentite, ingrato, sentite?
LIN. Ella non ha motivo d'essere di me scontenta.
ROB. E voi qual ragione avete per essere malcontento di lei?
LIN. Ne ho più di quello che voi pensate.
LIN. Di che non è ella capace? Signore, voi non la conoscete.
ZEL. Ah Lindoro, volete voi farmi perdere la grazia e la protezione di quest'amabile mio padrone?
LIN. Voglio uscire di questa casa.
ROB. Uscire di questa casa? Per qual motivo?
LIN. Perché Zelinda e Fabrizio hanno de' segreti fra loro che non devono penetrarsi né da voi, né da me.
ROB. (a Zelinda) Né da lui, né da me?
LIN. (a Don Roberto) E siamo entrambi traditi.
LIN. Da questa femmina che voi credete sì virtuosa.
ROB. Zelinda... (voltandosi verso di lei)
ZEL. Ah signore, sono innocente, ve l'assicuro.
LIN. (a Don Roberto) Domandatele se ha de' segreti con l'amico Fabrizio.
ROB. Zelinda... (verso di lei, con affanno)
LIN. (a Don Roberto) Domandatele per qual ragione non si hanno a sapere questi segreti né da voi, né da me?
ROB. Ah Zelinda, è tutto vero quello ch'ei dice?
ZEL. Sì signore, è la verità. Fabrizio mi ha confidato qualche cosa, e m'ha raccomandato il segreto, ed io ho giurato di non parlare. Volete voi ch'io manchi al mio giuramento? Che io tradisca la parola di onore? Mi consigliate voi ch'io lo faccia? Mi assolverete voi da una taccia villana, indegna, condannabile in chi che sia? Sareste voi per avventura di que' che dicono che le donne non son in obbligo di mantener la parola? Non vi credo di ciò capace, ma quando mai la curiosità o la passione vi facesse così pensare a riguardo mio, permettetemi ch'io vi dica, che l'onore è comune a tutti; che chi manca, manca per debolezza, per viltà, per difetto, e che le donne di spirito non sono meno secrete, e meno delicate degli uomini.
ROB. Io sì.
LIN. Ed io no. I segreti si devono custodire quando non recano danno, o pregiudizio, o inquietudine alle persone, alle quali siamo attaccati per debito e per giustizia. Zelinda non poteva impegnarsi alla segretezza per una terza persona, in pregiudizio del suo padrone, e di suo marito.
ROB. (a Zelinda) Lindoro in questo non dice male.
ZEL. (a Don Roberto) Vi dico, vi giuro, e vi protesto, che ciò non reca alcun danno né a voi, né a lui.
LIN. (a Don Roberto) Ella lo dice, ed io nol credo; e voi non dovete crederlo, e dovete obbligarla a parlare.
ROB. Via Zelinda, vostro marito lo vuole; il vostro padrone vi prega. Siamo due persone discrete, promettiamo a voi la medesima segretezza che voi prometteste a Fabrizio. Diffiderete voi di due persone che vi amano?
ZEL. (da sé) (Oh cieli, se parlo, semino la discordia in questa famiglia. Se taccio sono in pericolo d'essere maltrattata. Non so che fare, non so che risolvere... Sì, il ripiego non è cattivo.) Fate così, signore, parlatene voi con Fabrizio; s'ei mi dispensa, s'egli l'accorda, sono pronta a dirvi la verità. (da sé) (Son sicura che Fabrizio non parlerà.)
ROB. (a Lindoro) Dice bene Zelinda, dice benissimo. Fabrizio è fuori di casa, subito ch'ei sarà ritornato, gli parlerò.
LIN. Una moglie non ha da dipendere da chi che sia per obbedire al marito.
ZEL. Né un marito può obbligare la moglie a mancare alle leggi dell'onore, dell'urbanità, della convenienza.
LIN. Eccola l'ostinata, la perfida, la menzognera.
ROB. (a Lindoro) Portatele rispetto. La conosco, e non son persuaso che ella sia capace di pensar male.
LIN. Io sono persuaso diversamente, e la farò parlar suo malgrado.
ROB. Come! ardireste minacciarla?
LIN. Ella è mia moglie, ed io solo ho sopra di lei l'autorità ed il potere.
ROB. Mi maraviglio di voi...
ZEL. Ah, signore, per questa parte Lindoro ha tutte le ragioni del mondo. Egli è mio marito, egli è padrone di mortificarmi.
LIN. Sono io più sfortunato di lei. Io che ho rinunziato alla casa paterna, che mi sono assoggettato alla dipendenza per una perfida, per un'indegna...
ZEL. Ah Lindoro, per carità...
ROB. (a Zelinda prendendola per la mano) Non posso più tollerarlo. Venite meco.
LIN. Servitevi come vi piace; non mi userete più lungamente simili soverchierie.
ROB. Temerario! (tira a sé Zelinda) Andiamo.
ZEL. (fa forza per non andare) Ah no, signore...
ROB. (tirandola) Andiamo, vi dico.
LIN. Andate, andate. Ci parleremo.
ZEL. (a Don Roberto tentando di liberarsi) Un momento di tempo.
ROB. No, non vi lascio in balia d'un furioso. Andiamo.
ZEL. (Oh Dio! Vorrei ricuperare la lettera.) (tenta di liberarsi) Permettetemi. Sono con voi.
ROB. Eh, non mi fate perdere la pazienza. (la tira con forza, e parte con Zelinda)