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FIL. Oh, signor Lindoro, buon giorno a vossignoria.
LIN. (badandogli poco) La riverisco divotamente.
LIN. (come sopra) Per servirla.
FIL. Come sta la vostra sposa?
LIN. (come sopra) Per obbedirla.
FIL. (da sé) (Ha qualche cosa per il capo.)
LIN. (da sé) (Non posso più soffrire nessuno.)
FIL. Scusatemi. La signora donna Eleonora è in casa?
LIN. (come sopra) Non lo so, signore; so ch'ell'era sortita. Non so se sia ritornata.
FIL. Avrei bisogno di vederla. Se ci fosse qualcheduno che mi sapesse dire se c'è...
LIN. (da sé) (Mi viene in mente una cosa. Se il signor Filiberto intendesse il francese, gli potrei far leggere questa carta... Ma se vi fossero cose che m'offendessero...)
FIL. Ditemi almeno dove posso trovare un servitore, o una serva.
LIN. (da sé) (Sia quello ch'esser si voglia, la mia curiosità supera ogni altro riguardo.)
FIL. (da sé, in atto di partire) (Ha più del villano che del galantuomo).
LIN. Vi domando perdono. Scusate la mia distrazione. Ho qualche cosa che mi molesta.
FIL. Me ne sono avveduto. Vorrei solamente sapere se la signora donna Eleonora sia ritornata. Non vorrei andare inutilmente al suo appartamento.
LIN. Andrò io medesimo a vedere se c'è.
LIN. Ma vorrei supplicarvi d'una finezza.
FIL. Comandatemi. In quello ch'io posso, vi servirò.
LIN. Scusatemi. Sapete legger francese?
FIL. Sì, certo; un negoziante ha bisogno di conoscere questa lingua.
LIN. Mi fareste la grazia di leggermi una carta scritta in francese?
LIN. Ma di leggerla in italiano!
FIL. Voi non lo capite il francese?
LIN. No, signore, non lo capisco.
FIL. Quest'è male, figliuolo mio. Un giovane come voi, che esercita l'impiego di segretario...
LIN. Signore, io non sono fatto per tale impiego: spero di liberarmi quanto prima.
FIL. Non importa. Sapete che in oggi la lingua francese è la lingua del mondo, la lingua delle grazie, delle bellezze. Imparatela, che vi farà onore, e ne sarete contento.
LIN. Sì, signore, l'imparerò, ma intanto vi prego di leggermi questa carta. (gliela dà)
FIL. Ma chere amie. (pronunzia il c e l' h alla francese)
FIL. (come sopra) Ma chere amie.
LIN. Io leggeva diversamente.
FIL. Il ch in francese si pronuncia sce.
LIN. (con maraviglia) Mia cara amica!
FIL. Sapete voi a chi è diretta la lettera?
LIN. (da sé) (Mia cara amica!)
FIL. (scorre la lettera coll'occhio leggendo piano qualche parola.)
LIN. Se dice mia cara amica, sarà diretta a qualche donna.
LIN. E... sarà probabilmente una donna quella che scrive.
FIL. Vi dirò, ho scorso coll'occhio per rilevare il contesto, e capisco ch'è un uomo che scrive, e che la lettera è tenera ed amorosa.
LIN. (con ansietà) È un uomo che scrive? E la lettera è tenera ed amorosa? Favorite di leggere, vi prego, ma di leggerla in italiano.
FIL. Non vorrei che mi faceste fare una mal'opera.
LIN. Signore, son galantuomo, e non son capace di compromettervi in cosa alcuna.
FIL. Io non so di che si tratti. Non so chi scrive, sono indifferente, e vi servirò. (legge) «Non posso vivere da voi lontano...»
LIN. (Ecco il segreto). Leggete. (Ah è Don Flaminio senz'altro.)
FIL. «Verrò domani segretamente per abbracciarvi...»
LIN. Verrà domani? quando è datata la lettera?
FIL. Vediamo: il giorno dieci di questo mese.
LIN. (da sé) (Oggi ne abbiamo undici; oggi è la giornata appuntata. Ecco il segreto, ecco l'infedeltà, ecco verificato il sospetto.)
FIL. Volete altro?
FIL. Ce n'è ancora.
LIN. (agitato) Favorite di seguitare.
FIL. «Vi prego di concertare col portator di questa lettera il modo di trovarsi insieme in luogo sicuro per non dar sospetto...»
LIN. (Ecco se il mio sospetto è ragionevole e giusto. Fabrizio è il portator della lettera, questo è il segreto, ne son sicuro. Povero me! L'onor mio, l'amor mio, la mia pace... tutto è finito, tutto è perduto.)
FIL. Amico, vedo che questa lettera v'inquieta infinitamente. Saprete chi la scrive, ed a chi è diretta.
LIN. Signore... Vi supplico di terminarla.
FIL. Ci siamo: finiamo. «V'assicuro del costante amor mio...»
LIN. (ironicamente) Benissimo.
FIL. «Son pronto a darvene le prove le più convincenti...»
LIN. A maraviglia.
FIL. «Voi siete l'unica mia speranza, e da voi dipende la mia felicità e la mia vita.»
LIN. Ah! perfidi, me la pagherete.
FIL. Ma questa lettera a chi è diretta?
LIN. A chi è diretta? Sì, lo dirò. Chi non ha cura dell'onor suo, non merita che si risparmi. Questa lettera è diretta a mia moglie. (con sdegno, e strappa di mano la lettera a Don Filiberto)
FIL. A vostra moglie? (con maraviglia)
LIN. A mia moglie. (sospirando)
LIN. Ah! pur troppo, tutte le combinazioni, tutte le circostanze me ne assicurano.
FIL. Questa è una cosa che mi sorprende. E chi pensate voi che le scriva?
LIN. Non può essere che Don Flaminio.
LIN. Ed io lo credo, e ne sono quasi sicuro.
FIL. Don Flaminio è in contratto di sposare una vedova.
LIN. Che importa questo? Chi è capace di amare una femmina maritata...
FIL. Via, via, Lindoro, non parlate così, non pensate sì male, non vi lasciate trasportare dalla passione, dalla gelosia. Vostra moglie, per quello che dicono, è stata sempre una giovine saggia ed onesta. Don Flaminio è un uomo d'onore.
LIN. Tant'è, signore, penso così, ho fissato così, e senza una dimostrazione in contrario, senza una chiara e convincente prova che mi disinganni, non lascierò di credere che Zelinda m'inganna, che Don Flaminio m'insulta, che Fabrizio n'è il mediatore, e ch'io sono il più infelice degli uomini, il più tradito, il più offeso, il più disgraziato marito.
FIL. Non so che dire; mi dispiace infinitamente di vedervi in tali inquietudini. Volete voi ch'io ne parli? Volete ch'io m'interessi per voi?
LIN. Quando volete graziarmi, di questo solo vi prego. Fatemi ottenere la mia licenza. Non voglio più restare in una casa, ove pericola l'onor mio.
FIL. Bene, parlerò, e ci rivedremo. Vorrei vedere donna Eleonora.
LIN. Scusatemi, signore, s'io non monto le scale; sono sì agitato, sì afflitto...
FIL. Restate, restate, se non troverò nessuno, salirò io. Povero giovane! vi compatisco. (Ecco quanto durano le gioje e le consolazioni del matrimonio.) (parte)