Carlo Goldoni
La gelosia di Lindoro

ATTO SECONDO

Scena Settima. Lindoro e detto

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Scena Settima. Lindoro e detto

 

LIN. (da sé vedendo Don Roberto) (Eccolo qui per l'appunto.) (con serietà) Servitor umilissimo, mio signore.

ROB. (con ironia) Oh, oh, la riverisco divotamente.

LIN. (come sopra) La supplico, in grazia, aver la bontà di concedermi il mio congedo.

ROB. (con ironia) Davvero?

LIN. Sì signore: il congedo per me e per Zelinda.

ROB. (come sopra) Il congedo per tutti due?

LIN. Spero ch'ella me l'accorderà di buona voglia, e non vorrà obbligarmi a partire con mala grazia.

ROB. (con ironia) Oh, so che Vossignoria è un giovane proprio e civile, che non è capace di far male grazie; so ch'è un giovane serio e prudente, che ci penserà sopra, e non partirà.

LIN. Signore, voi la prendete in ischerzo, ed io vi dico seriamente che intendo d'andarmene, e di condur meco mia moglie.

ROB. E tutto questo per un sospetto vano, mal fondato, ingiurioso...

LIN. Perdonatemi, ho delle ragioni fortissime... accordatemi la grazia che vi domando, e non mi fate parlar d'avvantaggio.

ROB. No, non v'accorderò mai che partiate, se non mi dite quali siano queste ragioni fortissime, che voi vantate d'avere.

LIN. Signore, quando m'avete licenziato di casa vostra, io sono stato costretto a sortire, e come voi eravate padrone di licenziarmi, io son padrone d'andarmene quanto m'aggrada.

ROB. V'è qualche differenza da voi a me.

LIN. In questo, scusatemi, non vi deve essere differenza alcuna. Le volontà sono libere, e i servitori, di qualunque grado si sieno, non sono schiavi venduti.

ROB. Voi prendete la cosa su un tuono un poco troppo serio. Io non sono capace di usarviviolenze, né ostilità. Se cerco di trattenervi, non è che l'amore che m'obbliga a persuadervi. Sapete quel che ho fatto per voi. Non posso dispensarmi dal dirvi, che siete un ingrato; ma se volete andare, andate, che il cielo vi benedica.

LIN. E Zelinda ha da venire con me.

ROB. Mi dispiace per lei, mi piange il cuore per voi, ma non lo posso impedire.

LIN. (da sé) (Quanto il figliuolo è indegno, altrettanto è il padre amoroso.)

ROB. Andate, figliuolo mio, andate, poiché il vostro cattivo destino vi porta a procurarvi forse de' nuovi disastri, delle nuove calamità; ma spero che prima di partire non mi negherete una grazia.

LIN. Ah signore, che dite mai! L'obbligo mio... la vostra bontà... Comandate.

ROB. Svelarmi la ragione per cui partite.

LIN. (da sé) (Non ho cuore di dirgliela; so che gli farà una pena infinita.)

ROB. Voi conoscete l'animo mio per voi, e mi negherete una sì giusta soddisfazione?

LIN. Ah non vorrei dirvela per non inquietarvi. Ma poiché lo volete assolutamente, sono obbligato ad obbedirvi. Parto, signore, per la salvezza dell'onor mio.

ROB. E in casa mia l'onor vostro non è sicuro?

LIN. Anzi è in pericolo più che mai.

ROB. Qual fondamento avete per dirlo e per sostenerlo?

LIN. ( la lettera a Don Roberto) Leggete questa lettera. So che intendete il francese, leggetela, e giudicatene da voi stesso.

ROB. Date qui. Oh cielo! Sono in un mare di agitazioni. (legge piano)

LIN. La lettera, signore, è del signor Don Flaminio.

ROB. (con sorpresa) Di mio figlio?

LIN. Sì, signore, è di lui.

ROB. Eh andate, che siete pazzo. Credete voi ch'io non conosca il carattere di mio figlio? Dovreste conoscerlo ancora voi. No, la lettera non è scritta da lui.

LIN. Vi accordo che non pare scritta da lui, ma si vede che il carattere è alterato, è affettato. Esaminatelo bene e ci troverete dei tratti della sua mano.

ROB. (osserva bene la lettera) (Ah sì, pare anche a me... Se fosse mai vero?... Se foss'egli capace d'una simile iniquità!) Questa non è ragione che basti per accusare mio figlio; e voi gli fate un torto ch'egli forse non merita.

LIN. Oltre il carattere che si manifesta, esaminate le circostanze. Chi scrive è lontano dalla persona...

ROB. Che scioccherie! quelli che scrivono son lontani sicuramente.

LIN. Sapete quanto il signor Don Flaminio ha amato un tempo Zelinda?

ROB. Lo so, ma dopo ch'è maritata...

LIN. Sapete che Fabrizio è stato sempre il suo consigliere?

ROB. (Pur troppo.)

LIN. Vi è nota la conferenza fra lui e Zelinda, il segreto, il giuramento, la parola d'onore? In somma questa lettera trovata su quel tavolino...

ROB. Non so che dire. Non so più in qual mondo mi sia. Aspettate. (verso la scena) Chi è di ? Servitori, mandatemi qui Zelinda, mandatemi qui Fabrizio se c'è.

LIN. Siete ancor persuaso?

ROB. No, non sono ancor persuaso, e si ha da venir in chiaro della verità.

 

 


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