Carlo Goldoni
La gelosia di Lindoro

ATTO TERZO

Scena Seconda. Lindoro, poi Mingone

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Scena Seconda. Lindoro, poi Mingone

 

LIN. Nessuno mi leverà dalla testa che Don Flaminio non sia in Pavia, ch'egli non sia venuto con questa sedia, e che non sia d'accordo con Zelinda e Fabrizio. Ma ecco Mingone, scoprirò io bene da lui...

MIN. (da sé) (Io sono in un imbarazzo del diavolo.)

LIN. Galantuomo, dove avete la sedia?

MIN. Signore... Il padrone può dir quel che vuole... Con voi in sedia io non ci voglio venire.

LIN. E perché non ci volete venire?

MIN. Perché... Perché... Sono pover'uomo, ma son galantuomo, e non voglio essere strapazzato.

LIN. Scusatemi, caro amico. Ero in collera con mia moglie... Siete voi maritato?

MIN. Così non lo fossi!

LIN. Griderete anche voi qualche volta.

MIN. Qualche volta? Dalla mattina alla sera.

LIN. E non vi nascono mai di questi accidenti?

MIN. Signor no, mai. Quando sono in collera, bastono mia moglie, e non insulto nessuno.

LIN. Oh! se sapeste quante volte sono stato in procinto... Ma la convenienza non lo permette.

MIN. Oh! voi altri signori mariti, colle vostre convenienze, ne sopportate di belle!

LIN. Sì, avete ragione. Ma la vostra sedia dov'è?

MIN. Io sono obbligato a ritornare a piedi.

LIN. Perché ritornare a piedi, se siete venuto in sedia?

MIN. Perché il cavallo s'è fatto male, e bisogna ch'io lo conduca dal maniscalco.

LIN. Voi non l'avete detto al padrone.

MIN. No, perché non dica ch'io l'ho storpiato, e che non mi gridi.

LIN. E come farete voi a portare l'abito e la biancheria?

MIN. Non è che un fagotto, lo porterò sulla testa.

LIN. Andiamo a vedere il cavallo che male ha. Non sarà forse gran cosa; lo faremo visitare in passando.

MIN. (scaldandosi) Se non può camminare!

LIN. Ne prenderemo un altro.

MIN. Io non ci voglio venire.

LIN. Amico, ci conosciamo.

MIN. (confuso) Di che?

LIN. Oh via.

MIN. Non capisco.

LIN. Vi capisco io.

MIN. Di che?

LIN. Orsù, alle corte. II signor Don Flaminio è in città.

MIN. (confuso) In città?

LIN. Ed è venuto con voi.

MIN. È venuto con me?

LIN. E v'ha ordinato di non parlare.

MIN. Di non parlare?

LIN. E di fingere di l'abito e la biancheria.

MIN. Come diavolo sapete voi tutto questo?

LIN. Non sapete ch'io sono il suo segretario?

MIN. Ma questa cosa non l'ha da sapere nessuno.

LIN. Nessuno fuori di me. Me l'ha scritto.

MIN. Ve l'ha scritto?

LIN. Sì, certo, e mi raccomandò di non dir niente; e v'avverto di non parlare con nessuno.

MIN. Io? Non parlo se mi dànno la corda.

LIN. Bravissimo, così mi piace.

MIN. Ma... voi volevate montar in sedia con me.

LIN. Ho fatto per provarvi.

MIN. Ah, ah, per provarmi! per vedere s'io son segreto! bravo bravo! Ah io, corpo di bacco! in materia di segretezza farei a tacere con un muto a nativitatibus.

LIN. E dov'è presentemente il signor Don Flaminio?

MIN. Non lo so.

LIN. Dov'è smontato?

MIN. Non ve l'ha scritto?

LIN. No; m'ha detto ove sarà questa sera, ma ora mi premerebbe infinitamente di vederlo.

MIN. È smontato in una casa sulla piazza del Castello, ma io non so chi ci stia.

LIN. Me la sapreste insegnar questa casa?

MIN. Non sono molto pratico della città, ma la troveremo.

LIN. Prendete il vostro fagotto, e incamminatevi, che vi terrò dietro.

MIN. V'aspetterò all'osteria del Biscione. Ho da riscuotere certo denaro, e poi qui non mi hanno dato nemmeno un bicchier di vino; ho bisogno di reficiarmi un poco.

LIN. Sì, andate e aspettatemi; vi pagherò io da bevere. Ma non parlate a nessuno.

MIN. Chi? Io? Puh! Fate conto ch'io sia una muraglia. (parte)

 

 


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