Carlo Goldoni
Il geloso avaro

ATTO PRIMO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Don Luigi e poi Donna Aspasia.

 

LUI. Il diavolo che ti porti; non farò niente? Se Pantalone è geloso, non mancano mezzi per deludere le sue cautele. S'egli è avaro, molto meglio per me. L'oro, pascolando la sua avarizia, vincerà i stimoli della gelosia. Sia pure onestissima donna Eufemia; nulla pretendo da lei, che possa offendere la sua modestia: bramo solo un'amichevole corrispondenza, e questa tanto meno saprà negarmela, quanto più le si rende odioso il marito. E tu dici non farò niente? Se torni a dirlo, ti spezzo il capo, come spezzata ho quella lettera. Ma! l'ho stracciata senza sapere cosa contenga; la collera mi ha acciecato. La leggerò alla meglio. (la prende da terra) I pezzi si possono unire insieme. Oh diamine! cosa vedo? L'ordine per le cento doppie che aspettavo con tanta ansietà: eccolo fatto in pezzi. E mi si dovean pagar subito; e questo era il più valido fondamento per guadagnare il signor Pantalone. Un buon regalo me lo potrebbe rendere amico. Ed ora come farò? non ho denari. Se torno a scrivere, ci vuol tempo. Fortuna indegna, tu mi perseguiti, tu mi vuoi morto.

ASP. Che cosa avete, signor fratello?

LUI. Sorella mia, son disperato.

ASP. Disperato? Perché?

LUI. Per queste due bagattelle: sono innamorato, e non ho denari.

ASP. Per quel ch'io sento, la vostra amante è una di quelle che fanno mercanzia della loro grazia.

LUI. No, v'ingannate. Ella è una onestissima moglie.

ASP. Moglie? Siete pazzo andarvi a incapricciare con una femmina maritata?

LUI. Pazzo! A incapricciarmi di una femmina maritata son pazzo? Signora sorella, voi avete marito.

ASP. Bene, e per questo?

LUI. E per questo, nessuno vi serve, nessuno vi vede volentieri?

ASP. Chi sente voi, pare ch'io abbia un sortimento di cicisbei

LUI. Se li avete, buon pro vi faccia. Così il marito di donna Eufemia fosse docile come il vostro.

ASP. Ora capisco. Voi sospirate per donna Eufemia.

LUI. Sì, cara sorella, io deliro per lei.

ASP. Povero don Luigi, voi non farete niente.

LUI. Non farò niente? Anche voi mi dite che non farò niente? Giuro al cielo! non farò niente?

ASP. Ma non andate in bestia.

LUI. Possa la lingua a chi dice ch'io non farò niente.

ASP. Se volete parlar voi solo, me n'anderò.

LUI. Venite qui, non mi abbandonate per carità.

ASP. Cosa pretendete da donna Eufemia?

LUI. Niente altro che la sua amicizia.

ASP. Niente altro?

LUI. Niente altro.

ASP. Ma vorrete andar in casa.

LUI. Qualche volta.

ASP. Servirla alle conversazioni.

LUI. Sì, come si accostuma.

ASP. Insomma essere il di lei servente.

LUI. Questo, e non altro.

ASP. Voi non farete niente.

LUI. Il diavolo che vi porti.

ASP. Io lo dico, perché so...

LUI. Se mi dite più di quelle maledette parole non farete niente, giuro a Bacco, mi scorderò che mi siate sorella.

ASP. (Povero mio fratello è innamorato come una bestia). (da sé) Ma conoscete il di lei marito?

LUI. Lo conosco: è geloso; e per questo? Sarebbe il primo geloso, che soffrisse veder la moglie servita?

ASP. Egli non è portato per le conversazioni.

LUI. È ben portato per l'interesse.

ASP. Dunque lo vorreste vincere con i contanti.

LUI. Non dico con i contanti, ma con i regali. Se mi metto a regalare un avaro, direte voi ch'io non farò niente?

ASP. Per questa via può essere che vi riesca. Animo dunque, principiate a metter mano alla borsa.

LUI. Il diavolo è, ch'io presentemente non ho denari.

ASP. Non avete denari? Ora mi darete licenza ch'io dica: non farete niente.

LUI. Donna Aspasia, non mi mettete alla disperazione.

ASP. No, caro fratello; sapete ch'io vi amo teneramente. Per l'amor ch'io vi porto, non so staccarmi da voi. Per non lasciarvi solo, obbligo mio marito a star qui, ed abbandonare la propria casa.

LUI. Felice voi, che avete un marito che tutto fa a modo vostro.

ASP. Oh sì! di questo poi me ne posso vantare. Non ha altro difetto, se non che è smemoriato.

LUI. Ah, se ora gli faceste fare una cosa per me!

ASP. Che cosa?

LUI. Tutti due mi potreste aiutare.

ASP. Via, dite il come.

LUI. Voi dicendo due parole per me a donna Eufemia, che è vostra amica. Vostro marito prestandomi cento scudi.

ASP. I cento scudi fate conto d'averli. Mio marito, solo ch'io gliene dica, ve li darà. Ma che io poi parli per voi a donna Eufemia...

LUI. Che difficoltà ci trovate?

ASP. È un certo uffizio che non mi finisce.

LUI. Per un fratello?

ASP. Rispetto a voi va bene, ma non rispetto a donna Eufemia: che concetto formerebbe di me?

LUI. Eh, fra voi altre donne questi servizi ve li cambiate.

ASP. Donna Eufemia è una donna assai sostenuta.

LUI. E per questo?

ASP. Ho paura che non faremo...

LUI. Niente.

ASP. Questa parola non la voleva dire.

LUI. Ed io non la voglio sentire.

ASP. Dunque?

LUI. Dunque parlate.

ASP. E se poi...

LUI. Parlatele in buona maniera. Spiegatele il mio carattere ed il mio desiderio. Io sono un uomo onesto, e da lei non voglio niente di male.

ASP. Benissimo, cercherò l'occasione...

LUI. Ecco vostro marito. Ora sarebbe il tempo delli cento scudi.

 

 


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