Carlo Goldoni
Il geloso avaro

ATTO PRIMO

SCENA UNDICESIMA

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SCENA UNDICESIMA

 

Camera di donna Eufemia.

 

Donna Eufemia, Dottore ed Argentina.

 

DOTT. Cara la mia figliuola, vi ho sempre voluto bene, e sempre ve ne vorrò.

EUF. Non ho altro in questo mondo che mi consoli, che voi.

ARG. Caro signor Dottore, io non credo niente che abbiate voluto bene alla padrona.

DOTT. No? per qual cosa? È la mia figliuola, ed è il mio cuore, la mia contentezza.

ARG. Se le aveste voluto bene, non l'avreste maritata con questo vecchio arrabbiato del signor Pantalone.

EUF. Temeraria! così parli di mio marito? Se ti sento più a dire una simile impertinenza, ti caccio subito dalla mia casa.

ARG. (Oh vi anderò, perché è impossibile ch'io taccia). (da sé)

DOTT. Dunque, per quel ch'io sento, questo vostro marito è un uomo cattivo.

EUF. No, signor padre, non crediate a colei. Ella non sa quello che si dica. Mio marito è un uomo d'onore.

ARG. (È usuraio, e tanto basta). (sottovoce al Dottore)

EUF. Che cosa dici?

ARG. Niente, signora; diceva che è un uomo di garbo.

DOTT. Mi dispiacerebbe assaissimo, che voi doveste patire. Una figliuola unica ch'io avevo a questo mondo, alla quale ho dato dodicimila scudi di dote, e che avrà da esser erede di tutto ciò che possiedo, mi sarebbe un dolor troppo grande se la vedessi a star male. Ho creduto di mettervi in una buona casa. Un uomo solo, ricco, senza vizi, pontuale e onorato. Tutti mi hanno detto che era la vostra fortuna, ed ho creduto di far bene; e mi mangiarei le dita, se credessi d'aver fatto male.

EUF. No, signor padre, non vi rammaricate. Voi non avete errato, ed io non mi dolgo di mio marito.

DOTT. Siate benedetta; voi mi consolate.

EUF. (Povero padre! non lo voglio inquietare). (da sé)

ARG. (Domandatele se suo marito è niente geloso). (piano al Dottore)

DOTT. Ditemi, figliuola mia, è geloso il vostro marito?

EUF. Siccome egli mi ama, non sarebbe gran cosa che fosse anche geloso.

DOTT. È vero: amore è padre della gelosia. Ma vi tormenta? Vi strapazza? Cara la mia figliuola, ditemi la verità.

EUF. Caro signor padre, che cosa volete ch'io vi dica? Non nego che qualche mio marito non dia in qualche impazienza. Tutti hanno le loro stravaganze, ed io le averò più di tutti. Mio marito, vi dico, non è cattivo, ma quando fosse anche pessimo, voi me l'avete dato, io l'ho preso, sarebbe pazzia il dolersene, e poca riputazione il pentirsi.

DOTT. Brava; queste sono massime di donna savia e prudente. In questo mondo bisogna soffrir qualche cosa. Quando non manca il bisognevole in casa, per il resto si tira avanti.

ARG. (Domandatele se ha nemmeno da comprarsi una carta di spille). (piano al Dottore)

DOTT. Ditemi un poco: m'immagino che vostro marito vi passerà un tanto per le piccole spese. (a donna Eufemia)

EUF. Quel che occorre, lo compra.

DOTT. Vi denari?

EUF. Io non gliene chiedo.

DOTT. Una donna senza denari non sta bene. Tutti i giorni fa di bisogno qualche cosa. Si ha sempre d'andare dai mariti? Si vien loro in fastidio. Venite qui, prendete questi quattro zecchini.

EUF. Non v'incomodate, signor padre.

ARG. Eh prendeteli, signora padrona, che ne avete bisogno.

EUF. Tu non puoi tacere.

ARG. Se mi cucite la bocca.

DOTT. Via, fatemi questo piacere. Prendeteli, e servitevi nelle vostre occorrenze.

EUF. Quando così volete, li prenderò. Vi ringrazio, signor padre.

DOTT. (Poverina! è una colomba. Mi è stato detto che suo marito è un avaro). (da sé)

ARG. Signor Dottore, non ci è niente per me?

DOTT. Prendi questo ducato: servi con amore la tua padrona.

ARG. Che siate benedetto! Voi almeno non siete avaro, come il padrone.

EUF. E bada a seguitare, la disgraziata.

ARG. Io vorrei tacere, ma ho un non so che di dentro, che mi caccia fuori le parole per forza.

EUF. Quel non so che, lo mortificherò io.

DOTT. Figliuola mia, non so cosa dire. Se vostro marito vi vuol bene, ringraziate il cielo, se vi tratta bene, consolatevi; e se mai fosse un uomo cattivo, se vi trattasse male, abbiate pazienza, raccomandatevi al cielo, e considerate che ci saranno tante e tante che staranno peggio di voi.

EUF. Io vi assicuro che non mi lamento della mia sorte.

DOTT. Quando è così, sono contento. Figliuola mia, state allegra, e se avete bisogno di qualche cosa, domandate liberamente; mandatemi a chiamare, che in tutto quello che posso, vi contenterò.

ARG. Avrebbe bisogno d'una cosa la mia padrona.

DOTT. Di cosa?

ARG. Avrebbe bisogno che le faceste crepar il marito.

EUF. Signor padre, io ho bisogno che mi ritrovate un'altra serva. Costei non la posso più sopportare.

DOTT. Taci, fraschetta, ed abbi giudizio. Non si prende tanta confidenza.

EUF. Ditele che moderi quella lingua, altrimenti la caccerò via sicuramente.

DOTT. Senti? modera quella lingua.

ARG. Caro signor Dottore, non posso.

DOTT. Ma perché non puoi?

ARG. Perché la mia lingua parla da sé, senza che io me ne accorga.

DOTT. Eh, so ben io qual gastigo ci vorrebbe per te.

ARG. Che cosa, signore?

DOTT. Un marito che ti bastonasse.

ARG. Oh, se il marito mi bastonasse, la vorressimo veder bella.

DOTT. Alla larga con questa sorta di bestie. Figliuola mia, vi saluto, ci rivedremo, conservatevi, e vogliatemi bene.

EUF. Caro signor padre, ve lo dico con il cuor sulle labbra, non ho altra consolazione al mondo che voi.

DOTT. Ed ancor io ho tutto il mio bene, ho tutto il mondo con voi. Prego il cielo che stiate bene, che non abbiate disgrazie, che non abbiate travagli. Se sapessi che stassivo male, se vi vedessi a patir, cara figliuola mia, mi creperebbe il cuore, piangerei dalla disperazione. (parte)

 

 


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