Carlo Goldoni
Il geloso avaro

ATTO PRIMO

SCENA DODICESIMA

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SCENA DODICESIMA

 

Donna Eufemia, Argentina, poi Pantalone.

 

EUF. (Povero padre, s'egli sapesse la vita che mi tocca soffrire)! (da sé)

PANT. (Apre, ed entra zitto zitto)

ARG. Oimè! mi avete fatto paura.

EUF. Voi sempre venite così, zitto zitto. Avete veduto mio padre?

PANT. L'ho visto.

EUF. È andato via in questo momento.

PANT. El so.

ARG. Eh già; non si può sputare, ch'ei non lo sappia.

PANT. Tasi , ti.

ARG. (Gli si vede proprio la rabbia negli occhi). (da sé)

EUF. Che cosa avete, signor Pantalone?

PANT. Gnente, siora.

EUF. Mi parete alterato.

PANT. No gh'ho gnente, ve digo. (con asprezza)

ARG. (Gli va colle buone! un maglio sulla coppa). (da sé)

PANT. Cossa xe vegnù a far qua vostro padre?

EUF. È venuto un poco a vedermi.

PANT. A véderve solamente?

EUF. Sì: era tanto che non ci veniva.

PANT. Manco ch'el vegnirà, el farà meggio.

EUF. Che fastidio vi mio padre?

PANT. No lo voggio.

EUF. Pazienza. Se non ce lo volete, non ci verrà.

PANT. Certo che nol vegnirà.

ARG. (Mi fa proprio rimescolar le budelle). (da sé)

EUF. Almeno fatemi un piacere.

PANT. Sì, gioia mia! un piaser ve lo farò volentiera.

ARG. (Gioia mia! Chi non lo conoscesse!) (da sé)

EUF. Ditemi la cagione perché non volete in casa vostra mio padre.

PANT. Quando no volè altro, ve la dirò.

ARG. (Sentiamo). (da sé)

EUF. Via, ditemela: che sappia almeno il perché.

PANT. Perché no lo voggio.

ARG. (Che ti venga la rabbia!) (da sé)

EUF. Questa non è ragione.

PANT. Siora sì: questa xe la meggio rason de tutte. In casa mia son paron mi; e quando no voggio uno, la mia volontà xe la mia rason.

EUF. Ma questa è una picca senza proposito.

PANT. Basta cussì; son stufo. (arrabbiato)

EUF. Via, non andate in collera.

ARG. (Mi vien voglia di rompergli una seggiola sulla testa). (da sé)

PANT. Che bei saludi v'alo portà el sior padre?

EUF. Saluti di chi?

PANT. Saludi dei amici vecchi della conversazion de casa.

EUF. Io non mi ricordo più di nessuno. Dopo che sono in questa casa, vedete la bella vita ch'io faccio.

ARG. Signor sì, stiamo qui che facciamo la muffa.

PANT. Ma! cossa vorla far? In casa mia se vive all'antiga: no se fa conversazion; no se zioga; no se va a spasso coi cicisbei.

EUF. Io di queste cose non me ne sono curata mai, e non me ne curo.

ARG. Povera donna! si può ben dire sagrificata davvero.

PANT. Mi te darò un schiaffo, che la terra te ne darà un altro. (ad Argentina)

ARG. Affé di bacco, signor padrone, se mi darete degli schiaffi non li prenderò.

PANT. Ho inteso: fenio el mese, ti anderà a bon viazo.

ARG. Anderò anche adesso, se volete.

PANT. Desgraziada! Ti ha avù el salario anticipà. Dame indrio undese zorni, che ghe manca a finir el mese, e po va quando che ti vol.

ARG. Si può sentir di peggio?

PANT. E po gh'è un altro no so che da discorrer, prima con donna Eufemia e po con ti. Diseme un poco, patrona, cossa v'ha vostro padre?

EUF. Mio padre? Niente.

PANT. Come gnente? Ho visto che el v'ha qualcossa, e vu l'avè messo in scarsella. Voggio saver cossa che el ve ha .

ARG. Oh, quest'è bella! Viene a spiare tutti i fatti nostri.

PANT. E anca ti, frasconcella, ti ha tolto e messo via. Voggio véder; voggio saver.

ARG. Marameo.

PANT. Presto: diseme tutto, se no volè che ve metta le man in scarsella.

EUF. Via, via, non andate in collera. Ecco qui: mi ha dato questi quattro zecchini.

PANT. Lassè véder.

EUF. Eccoli.

PANT. V'alo questi soli? Nol ve n'ha altri?

EUF. No certo; se non credete ecco la tasca.

PANT. E a ti cossa t'alo ? (ad Argentina)

ARG. Con me, signore, compatitemi, voi non ci entrate.

PANT. Lo voggio saver.

EUF. Via, ve lo dirò io: le ha dato un ducato.

PANT. Lassa véder.

ARG. Oh, questo non me lo pigliate.

PANT. Baroncella! se tol i ducati, ah? Avézzate a far la mezzana.

ARG. Oh cospetto di bacco! Me l'ha dato suo padre.

PANT. Vostro padre donca v'ha sti quattro zecchini. (ad Eufemia)

EUF. Non l'avete veduto da voi medesimo?

PANT. E per cossa ve li alo dai?

ARG. Via, v'averà fatto un affronto il signor Dottore a dare quattro zecchini a vostra moglie?

PANT. Mi no digo che el sia un affronto. Ma perché ve li alo dai?

EUF. Acciò mi compri dei nastri, delle spille, della polve di cipro e simile corbellerie.

PANT. Cosse che con tre lire se provede per un anno. Mi ve li impiegherò ben. Vederè che figura che ve farò far con sti quattro zecchini.

EUF. Li volete tener voi?

PANT. Sì ben, i tegnirò mi. Vu no savè custodir i bezzi.

ARG. (Non glieli più). (da sé)

EUF. Se non mi lasciate quei denari, cosa volete che dica mio padre?

PANT. Vostro padre v'ho dito che no lo voggio.

EUF. Poverino! se mi dona qualche cosa, lo volete impedire?

PANT. Se el vien in casa mia per comandar, no lo voggio. Se el vien po per farne qualche finezza, per darne qualche segno d'affetto, lo sopporterò. Ma in casa mia son paron mi, e nissun a mia muggier ha da portar ambasciate. Ve serva de regola, e se semo intesi. (va per partire)

ARG. Eh via, date i suoi denari alla povera mia padrona.

PANT. E se ti butterà via quel ducato, lo scriverò a to mare. L'oro e l'arzento costa sudori. El Dottor el vadagna i bezzi con poca fadiga, a forza de chiaccole e de scritture. Ma mi so cossa che costa i bezzi: mi che li vadagno onoratamente. (parte)

 

 


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