Carlo Goldoni
Il geloso avaro

ATTO PRIMO

SCENA QUINDICESIMA

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SCENA QUINDICESIMA

 

Donna Eufemia, poi Donna Aspasia.

 

EUF. Eppure, se viene mio marito, è capace d'adirarsi anche per questa visita. Sono in una constituzione d'aver paura di tutto.

ASP. Serva di donna Eufemia.

EUF. Serva umilissima, donna Aspasia.

ASP. Sono venuta a vedervi, desiderosa di star mezz'ora con voi.

EUF. Sono finezze ch'io non merito. Favorite d'accomodarvi. (siedono)

ASP. Cara amica, che vita è mai la vostra? Possono ben venire feste, carnevali, funzioni, donna Eufemia non si vede mai.

EUF. Sapete il mio naturale: anche da fanciulla mi piaceva vivere ritirata.

ASP. Da fanciulla va bene, ma da maritata poi qualche volta conviene farsi vedere. In verità, credetemi, ne sento parlare da tutti con del dispiacere.

EUF. Ringrazio infinitamente quei che di me si ricordano; ma non vorrei che si prendessero tanta pena.

ASP. Sapete che cosa dicono? Dicono che non andate in nessun luogo, perché vostro marito è geloso.

EUF. S'ingannano. Mio marito non è geloso.

ASP. Oh, ne dicono una più bella.

EUF. Davvero, che cosa dicono?

ASP. Che è avaro, che non vi fa il vostro bisogno... che so io? Cose che fanno venir la rabbia.

EUF. Mi pare che le dicerie di codeste persone che praticate, eccedano un poco troppo; e voi, compatitemi, non fate la miglior cosa del mondo a venirmele a riportare.

ASP. Cara donna Eufemia, sapete se vi voglio bene e se vi sono amica di cuore. Non intendo riportarvi queste ciarle né per mortificar voi, né per iscreditar chi le dice: ma sono venuta a posta per avvertirvi, perché mi preme il vostro decoro, la vostra estimazione, e voglio assolutamente che facciate questa volta a mio modo.

EUF. Che cosa vorreste ch'io facessi?

ASP. Voi mi avete a promettere di fare quello che vi dirò.

EUF. Ditemi prima, che cosa intendete ch'io debba fare.

ASP. Avete paura che vi proponga una cosa che non vi convenga? Avete un bel concetto di me! Obbligata, donna Eufemia, obbligata.

EUF. Ma voi sapete ch'io sono maritata; che ho un marito, galantuomo certo, ma un poco difficile. Non è geloso, ma ha sempre paura ch'io m'impegni in cose che non convengono allo stato nostro e al modo suo di pensare. Ecco la ragione per cui non posso impegnarmi, senza prima intendere cosa vogliate da me.

ASP. Via, ve lo dirò. Voglio che questa sera veniate meco alla conversazione. Questa non è una cosa che abbiate a dirmi di no.

EUF. Oh certissimo. È una cosa da niente. Non potrei dire di no. Ma... sappiate, amica, che questa sera ho un impegno di restare in casa.

ASP. Bene, e noi verremo alla conversazione da voi.

EUF. Bisognerebbe che lo sapesse il signor Pantalone.

ASP. Che? avete da dipendere dal marito per tenere un poco di conversazione? Siete ben particolare davvero! Nella nostra compagnia siamo otto donne, ognuna delle quali si vergognerebbe dir queste cose al marito. Basta ch'egli lo sappia, quando paga la cera, il caffè, o le carte; e qualche volta lo sa, quando gli tocca pagare la perdita della consorte.

EUF. Ciascheduna famiglia ha le sue regole particolari.

ASP. Oh, la vostra regola non mi piace.

EUF. Il mondo non sarebbe sì bello, se tutti fossero di un umore.

ASP. Dunque in casa vostra non ci volete.

EUF. Io non dico di non volervi, dico che lo ha da saper mio marito. Potrei anch'io prendermi la libertà di far senza dirlo, e son certa che non oserebbe rimproverarmi; pure gli ho sempre usato questo rispetto e glielo userò sempre mai. Credetemi, donna Aspasia, a lungo andare non è poi cosa tanto cattiva questa discreta soggezion della moglie. Alla fine dell'anno si trova l'economia in bilancio e la riputazione al sicuro.

ASP. Oh, oh, che massime antiche! Queste le avete studiate sui libri, non le avete certo imparate da veruna donna del nostro secolo.

EUF. Queste sono massime che ho imparate da me medesima, e sarebbero le vostre ancora, se un altro mondo non vi occupasse.

ASP. Per me son contenta così. Ho un marito, grazie al cielo, che non sa dirmi di no di niente. Vado dove voglio, e non glielo dico. Lo faccio venir con me se sono sola, lo licenzio se sono accompagnata. Invito a casa chi voglio; vado a pranzo fuori, quando mi pare. Se spendo, egli non dice nulla; se perdo, egli paga: questo mi par che si chiami vivere.

EUF. Sì; questo si chiama vivere alla vostra maniera.

ASP. E la mia maniera è la più comune.

EUF. Cara donna Aspasia, è dunque vero che di me si mormora?

ASP. Sì; e me ne dispiace infinitamente.

EUF. Si dice ch'io non pratico, perché ho il marito geloso; che non comparisco, perché ho il marito avaro.

ASP. Cose che mi fanno arrossire per parte vostra.

EUF. E di quelle che vivono come voi vivete, che cosa credete voi che si dica?

ASP. Io non saprei che cosa si potesse dire.

EUF. Ve lo dirò io quello che si dice. La tale non fa stima di suo marito, suo marito non fa stima di lei, perché tutti e due hanno degli attacchi di cuore; quell'altra si serve di suo marito, come farebbe d'uno staffiere; l'altra rovina la casa; colei è una civetta, una vanarella...

ASP. Di me si dice questo?

EUF. Non dico che si dica di voi; ma di chi vive all'usanza vostra.

ASP. Orsù, mutiamo discorso.

EUF. Sì, mutiamolo, che mi farete piacere.

ASP. Mio fratello vuol venirvi a fare una visita.

EUF. Sono molto tenuta alla bontà che ha per me il signor don Luigi.

ASP. Spero che voi lo riceverete.

EUF. Se fossi in grado di non poterlo ricevere, è tanto gentile che mi compatirebbe senz'altro.

ASP. Lo conoscete voi mio fratello?

EUF. Ho avuto l'onor di vederlo più volte in casa di mio padre.

ASP. In verità, per tutta la vostra casa non so che cosa non facesse.

EUF. È pieno di bontà il signor don Luigi.

ASP. Quante volte mi ha parlato di voi!

EUF. (Donna Aspasia è una sorellina pietosa). (da sé)

ASP. Qualche volta così per ischerzo, diceva egli: è un peccato che il signor Pantalone lasci così sepolta una donna di spirito, come donna Eufemia.

EUF. Don Luigi è compitissimo. Lascierà che tutti vivano a modo loro.

ASP. Guardate un regalo che mi ha fatto mio fratello.

EUF. Bel ventaglio! veramente di buon gusto.

ASP. Vi piace, donna Eufemia?

EUF. Certamente, non si può negare che non sia bello.

ASP. Se lo volete, siete padrona.

EUF. No, no, vi ringrazio.

ASP. Davvero, mi fate la maggior finezza di questo mondo.

EUF. In verità, vi sono obbligata; sta bene nelle vostre mani.

ASP. Se non lo prendete, mi fate torto.

EUF. Eh via, fate più conto d'un regalo di vostro fratello.

ASP. Don Luigi non mi darà dei rimproveri, se saprà che a voi l'ho donato, anzi si consolerà, intendendo che una sua finezza sia passata nelle vostre mani. Prendetelo.

EUF. Ma se vi dico di no.

ASP. Mi fate venire la rabbia. (s'alza)

EUF. Mi dispiacerà vedervi arrabbiata, ma io non ne ho colpa.

ASP. Donna Eufemia, vi levo l'incomodo.

EUF. Voi mi levate le grazie.

ASP. Il ventaglio non lo volete.

EUF. No certamente, vi prego di compatirmi.

ASP. Alla conversazione non volete venire! qui non si viene senza il passaporto di vostro marito! mio fratello non si sa se lo riceverete!

EUF. Guardate che stravaganze si sentono in questa casa! Chi ha giudizio, non ci dovrebbe venire.

ASP. Ma io vi voglio bene, e ci verrò. Mi caccierete via, se ci verrò?

EUF. Non son capace di un'azione cattiva.

ASP. Addio, donna Eufemia.

EUF. Serva, donna Aspasia.

ASP. (Che diavolo mi sono ridotta a fare per mio fratello! Ma non faremo niente. In questa casa si vive troppo all'antica). (da sé, parte)

EUF. Può sentirsi di peggio? Sotto pretesto di buona amicizia, viene una donna a sviarmi, vorrebbe introdurmi il fratello in casa, vorrebbe farmi prendere dei regali? Oh mondo, mondo, tu sei pur tristo! Cominciano a piacermi le stravaganze di mio marito, poiché queste affliggono, è vero, la persona in segreto, ma in pubblico non la fanno ridicola a questo segno. Codesto si chiama vivere? Codesto si chiama impazzire. Vera vita dell'uomo è quella che è regolata dallo spirito dell'onore.



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