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Donna Eufemia ed Argentina, poi Traccagnino che torna.
EUF. Bene, signorina, che vuol dire Traccagnino del suo ducato? Che mistero vi è sotto?
ARG. Sentite che pretensione ridicola ha colui. Il signor Dottore, come sapete, mi ha donato un ducato; l'ho detto così per modo di discorso a Traccagnino, e egli pretende ch'io gliene dia la metà.
EUF. Con qual fondamento lo pretende?
ARG. Perché è un sciocco; ma un sciocco malizioso.
EUF. Quello mio padre l'ha dato a te, ed è roba tua.
TRACC. Signora patrona, la me bastona, che la gh'ha rason.
EUF. Perché? Che hai tu fatto?
TRACC. No m'ho recordà gnanca una parola de quel che la m'ha dito de dir a Brighella.
EUF. Bravissimo! al tuo solito. Mio marito spende bene con te il suo denaro.
TRACC. El ghe ne spende tanto pochetto.
EUF. Ora con colui cosa si farà?
TRACC. Mi diria debolmente, che ella in persona ghe disesse la so rason.
ARG. Traccagnino non dice male; la risposta anderà più a dovere.
EUF. Che infelicità con costoro! Fallo passare.
ARG. Domanda, Traccagnino, alla padrona del ducato. È vero, signora, che è tutto mio, che a Traccagnino non ne tocca?
EUF. Certamente: questa è giustizia.
TRACC. De sta sentenza me ne appello.
TRACC. Al tribunal delle patrone che no recusa i regali. (parte)
ARG. (Maledetto!) (da sé) Costui è uno stolido. Non sa che diavolo si dica.
EUF. S'egli è sciocco, non l'esser tu. Bada bene a non mi mettere in qualche impegno.
ARG. Oh, signora mia, per me non c'è dubbio. Sapete la mia delicatezza in proposito di queste cose. Se vedessi l'oro tant'alto, non c'è dubbio che io vi parli.