Carlo Goldoni
Il geloso avaro

ATTO TERZO

SCENA DICIOTTESIMA

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SCENA DICIOTTESIMA

 

Donna Eufemia, Don Gismondo ed il Dottore; poi Pantalone.

 

GIS. La compatisco; la passione la fa parlare.

EUF. Voi mi avete sollevata dal maggior peso di questo mondo, levandomi d'attorno queste due persone moleste.

DOTT. Adesso che questa gente è andata via, e che siamo soli, pensiamo a noi, signore auditore. Mia figliuola non può vivere con suo marito, ho risoluto di condurla a casa mia. Che mi consiglia ch'io faccia?

GIS. Sì, è necessario di far conoscere al signor Pantalone il pregio di una moglie di tanto merito, col minacciarlo di levargliela dalle mani; staccandola per qualche tempo dal di lui fianco, può essere che si ravveda. Donna Eufemia, andate per qualche giorno a vivere con vostro padre.

DOTT. Venite con me, Eufemia; e dopo ci faremo restituire la dote.

GIS. Non sarebbe mal fatto di minacciarlo anche di questo.

DOTT. Eccolo qui quel maledetto scrigno. Facciamolo sequestrare, assicuriamoci dei dodeci mila scudi di questa mia sventurata figliuola. (in questo Pantalone esce dall'armadio)

PANT. Oimei! Muggier, no me abbandonè. Ah sior auditor, no me la levè per carità! Sior Dottor, vostra fia sarà ben trattada, no la tormenterò più. No, cara la mia zoggia, no ve tormenterò più. V'ho sempre volesto ben, e adesso che ho sentio la vostra fedeltà, el vostro amor, m'avè fatto pianzer per tenerezza. Eufemia, no me abbandonè. Siori, per carità, no me assassinè.

GIS. Conoscete voi di averla maltrattata contro giustizia?

PANT. Sior sì, lo conosso.

GIS. Mi promettete di meglio trattarla per l'avvenire?

PANT. Sì, lo prometto. Eufemia, no se crierà più; no se crierà più, sior Dottor.

DOTT. Il ciel lo voglia.

PANT. Vien qua, muggier, dame un abbrazzo.

EUF. (Cielo, ti ringrazio, sarò libera da una gran pena). (da sé)

DOTT. Caro signor genero, se è vero che avete superata la gelosia, bisognerebbe che superaste anche un'altra cosa.

PANT. Coss'oio da superar?

DOTT. L'avarizia.

PANT. Mi no son avaro.

GIS. Su questo particolare so ancor io qualche cosa. Signor Pantalone, dov'è lo scrigno?

PANT. Mi no gh'ho scrigno.

GIS. Aprite quella cassa di ferro.

PANT. Ah! me volè ammazzar. (grida forte)

GIS. Convien rendere il mal acquistato.

PANT. Ah! che maledetti. (si getta sullo scrigno)

GIS. Se continuate così, non meritate pietà. Vostra moglie tornerà con suo padre.

PANT. Andè al diavolo quanti che .

GIS. Questo è l'amore che avete per vostra moglie?

PANT. Sì, ghe voggio ben.

GIS. Pagate i vostri debiti.

PANT. No gh'ho debiti, no gh'ho bezzi. (stringe lo scrigno)

EUF. (Signore, abbiate carità del povero mio marito. Questa passione non la può superare. La gelosia pare che l'abbia superata, ma l'interesse è impossibile). (a don Gismondo)

GIS. Dunque non dovrà rendere la roba d'altri?

EUF. La renderà; con il tempo la renderà. Fidatevi di me, signore, e non dubitate.

DOTT. (Signore auditore, m'ascolti: io pagherò tutti e quieterò tutti; sagrificherei anche il mio sangue per veder quieta la mia figliuola). (a don Gismondo)

GIS. (Ma usure non ne ha da far più).

EUF. (Ci baderò ancor io. Non ne farà più).

PAN. (Maledetti! i me vol cavar el cuor). (da sé, sopra lo scrigno)

GIS. Signor Pantalone, vi si lascia lo scrigno, ma avvertite bene, la prima volta che voi prestate denari con pegno, o senza pegno, con un denaro d'usura, vi farò marcire in una prigione.

PANT. Se impresto più un soldo a nissun, che el diavolo me porta via.

GIS. Orsù, rasserenatevi. Eccovi vostra moglie.

PANT. Sior sì. (tiene lo scrigno avvinto)

GIS. Abbracciatela almeno.

PANT. No mancherà tempo.

DOTT. Andiamo via da questa camera; qui dentro sento serrarmi il cuore.

PANT. Andè dove che volè.

DOTT. Andiamo, Eufemia.

EUF. Venite con noi, marito mio.

PANT. Andè, che vegnirò.

GIS. Vi servirò io, signora. ( braccio a donna Eufemia)

PANT. (Guarda un poco donna Eufemia, poi seguita ad abbracciare lo scrigno)

GIS. Non avete già dispiacere ch'io serva vostra moglie?

PANT. Sior no, no son zeloso.

EUF. Marito mio, vi prego volermi bene.

PANT. Sì, ve ne voggio, ve ne vorrò, ma lasseme un poco in quiete per carità.

EUF. Andiamo, signor don Gismondo, lasciamolo in pace; qualche cosa conviene ancora soffrire; ma s'egli non mi tormenta più colla gelosia, sono la più contenta donna del mondo. Benedirò le lagrime che ho versate, se queste mi hanno acquistato il bel tesoro della pace, della tranquillità, dell'amore. (parte)

GIS. Bel carattere di moglie onesta. Misero Pantalone, aveva egli in due passioni diviso il cuore, ora una sola con maggior empito lo tiranneggia. (parte)

DOTT. Genero amato, venite con noi. Non lasciate sola la vostra consorte.

PANT. Mia muggier no gh'ha bisogno de mi.

DOTT. Sia ringraziato il cielo! ha lasciato una volta la gelosia; se poi è avaro, pazienza. Almeno non tormenterà più la mia figliuola. (parte)

 

 


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