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FLA. Ecco qui la lettera bell'e fatta. La volete sentire?
FLA. Signora no, ve la voglio far sentire. «Mio bene...»
EUG. Ma bene! (con caricatura)
FLA. Cosa vorreste significare?
EUG. Niente, dico che dite bene.
FLA. Sentite: Mi hanno tanto consolato le vostre righe, che non ho termini sufficienti per ispiegarvi il giubbilo del mio cuore.
EUG. Eh, che giubbilo? (con ironia)
FLA. No, forse?
EUG. Sì! (con ironia caricata)
FLA. Siete pure sguaiata Mi pare un secolo che non vi vedo, caro il mio bene
FLA. (Pazza). Venite a consolare la vostra cara gioietta.
EUG. Con quella bella grazietta! (con ironia)
FLA. Mi fareste dir delle brutte rime! Finiamola! Vedrete ch'io non son la crudelaccia, ma la vostra fedele, sincera amante. Eugenia Pandolfi. Vi pare che non abbia scritto a dovere?
EUG. Ottimamente. Date qui che la voglio sigillar io.
FLA. Eh, la so sigillar da me.
EUG. La voglio consegnare io a Tognino acciò possa dir che l'ha ricevuta da me.
FLA. Fin qui non avete torto... eccola. (dà la lettera ad Eugenia).
TOG. Eccomi.
EUG. Dite al vostro padrone che mia sorella Flamminia in nome mio gli ha scritto una bella lettera, e che io medesima, con le mie mani l'ho lacerata.(straccia la lettera)
FLA. Che? Siete impazzita davvero?Mi fate di queste scene?
EUG. E ditegli che venga da me, che gli darò la risposta in voce. (a Tognino).
FLA. Non glielo dite che ha stracciata la lettera.
EUG. Anzi, glielo deve dire! Tognino, se glielo dite vi do un testone di mancia.
TOG. Sarà per sua grazia, non mancherò di servirla.
FLA. Dico che non gli dite nulla! (a Tognino)
TOG. Perdoni, la sua signora sorella ha delle maniere obbliganti... un testone vale, in Milano, quarantacinque soldi di buona moneta. (parte)