Carlo Goldoni
Gli innamorati

ATTO TERZO

Scena Dodicesima. Fulgenzio e detta

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Scena Dodicesima. Fulgenzio e detta

 

FUL. Fermatevi, signora Eugenia.

EUG. Che pretendete da me? (con isdegno)

FUL. Ascoltatemi per carità.

EUG. L'avete servita la signora Clorinda? (con ironia)

FUL. No, non è ancora partita.

EUG. E che fa in casa mia? Perché non l'accompagnate? (con isdegno)

FUL. Finito ho l'obbligo di servirla, terminato ho l'incarico di accompagnarla

EUG. E perché? (sostenuta)

FUL. Perché è giunto in Milano il di lei consorte.

EUG. È arrivato il signor Anselmo? (meno sostenuto)

FUL. Sì, è arrivato poc'anzi, non ritrovò in casa la sposa Seppe dov'era; è' venuto egli stesso a vederla, ad abbracciarla. Fa ora i suoi convenivoli con il signor Fabrizio e colla signora Flamminia. Chiese di voi, le fu risposto che siete in camera ritirata e parte a momenti accompagnata dal caro sposo.

EUG. E voi? (patetica)

FUL. Resterò qui, se mel concedete.

EUG. Non volete essere col fratello a discorrere degli affari vostri?

FUL. In due parole ho seco lui trattato, e concluso il maggior affare che mi premesse.

EUG. Cioè gli avrete reso conto della custodia, in cui gli teneste la sposa.

FUL. No, ingrata. Gli palesai l'amor mio: gli spiegai la brama di avervi in moglie. Il mio caro fratello me l'accorda placidamente; mi esibisce poter condurre la moglie in casa. È pronto dividere, s'io lo voglio, l'abitazione e le facoltà. Mi ama tanto, che nulla seppe negarmi, e permettetemi ch'io lo dica, se il zio non vi può dar dote, brama ch'io sia contento, e non avrà per voi meno stima e meno rispetto.

EUG. (Ah incauta! ah ingrata! perché impegnarmi col Conte?) (smaniosa e plangente)

FUL. Oh stelle! così accogliete una nuova, che mi lusingai dovesse rendervi consolata? Ardireste voi paventare, ch'io frequentassi con passione mia cognata? Non fate a lei, non fate a me un sì gran torto. Pure, se l'impressione nell'animo vostro non può per ora scancellarsi, vi prometto, vi giuro di non trattarla, di non vederla mai più.

EUG. Povera me ! son morta. (si abbandona sopra una sedia)

FUL. Eugenia, che cosa è questa?

EUG. Ah sì, Fulgenzio, maltrattatemi, disprezzatemi, che avete giusta ragion di farlo.

FUL. No, cara, voglio teneramente.

EUG. Non merito l'amor vostro.

FUL. Voi sarete la mia cara sposa.

EUG. No, non deggio esserlo; abbandonatemi.

FUL. Non dovete esserlo? Anima mia, perché mai?

EUG. Perché ad altri ho data la mia parola.

FUL. E a chi? (tremante)

EUG. Al conte Roberto.

FUL. Quando?

EUG. Poc'anzi.

FUL. E perché?

EUG. Per vendetta.

FUL. Contro di chi vendetta?

EUG. Contro di me medesima; contro il mio cuore, contro la mia colpevole debolezza. Oimè, mi sento morire. (si copre col fazzoletto e resta così)

FUL. Ah perfida! ah disleale! quest'è l'amore? questa è la fedeltà? No, che non aveste amore per me. Furono sempre finti i vostri sospiri. Mendaci sono ora le vostre smanie. Me ne sono avveduto della vostra inclinazione pel mio rivale. Erano pretesti per istancarmi le gelosie mal fondate, i sospetti ingiuriosi, le invettive e gl'insulti. Godi, o barbara, della mia disperazione, trionfa della mia buona fede, deridi un misero che per te more, ma trema della giustizia del cielo. Ti lascio in preda del tuo rossore; parlino per me i tuoi rimorsi; e per ultimo dono di chi tu sprezzi, assicurati di non vedermi mai più (in atto di partire)

EUG. (Svenuta cade sopra una sedia vicina)

FUL. (Sentendo strepito si volta) Oimè; che è questo? Eugenia, Eugenia, aiuto, soccorso!

 


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