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Zelinda vestita a mezzo lutto, Lindoro e detti.
FABR. (Da una parte in piedi, ed un poco indietro)
ZEL. (Venite, venite; non abbiate paura). (a Lindoro, tnendolo per mano e conducendolo avanti) Dimando umilmente perdono, se ci prendiamo la libertà...
ELEON. E che cosa c'entrate voi? Mi pare che in tali occasioni i domestici non s'abbiano a mischiar coi padroni.
LIND. (L'ho detto. Voi volete farmi arrossire). (a Zelinda)
ZEL. Signore, noi sappiamo il nostro dovere. Eccoci qui in un canto. (si ritira con Lindoro in disparte)
FLAM. Avanzatevi, la signora donna Eleonora lo permetterà. (a Zelinda e Lindoro)
ELEON. La signora donna Eleonora non lo permette.
FLAM. Scusatemi, signora, io vi chiamo col vostro nome; quello di matrigna credo non piaccia a voi, come dispiace a me.
PAND. (Oh, liti sicuramente). (da sé)
NOT. Signore, favorite dirmi chi sono queste persone. (a don Flaminio, accennando Zelinda e Lindoro)
FLAM. Que' due sono marito e moglie. Ella è cameriera della signora, ed era egli in figura di segretario. L'altro è il mastro di casa. (i tre, quando sono nominati, fanno la riverenza)
NOT. Non è male, signora, che restino all'apertura del testamento. I domestici d'un buon padrone vi possono avere qualche interesse. (ad Eleonora. Tutti tre s'avanzano, ma in piedi)
ELEON. Non è necessario che siano presenti.
FLAM. Con sua permissione. (a donna Eleonora) Restate. (ai tre)
ELEON. (Non viverei con costui per tutto l'oro del mondo) (a Pandolfo)
PAND. Lasciatelo fare. Tanto peggio per lui). (piano a donna Eleonora)
NOT. Vogliono essere serviti? andiamo. (apre il testamento)
FLAM. Potete omettere i preamboli e le formalità. Sono cose che rattristano troppo.
ELEON. Sì, sì, veniamo alle corte.
NOT. Come vi piace. Leggerò l'ordinazioni dei legati, e l'instituzion dell'erede. Lascio trecento scudi al Notaro. Queste son cose solite.
ELEON. Sì, sono formalità che si potean tralasciare.
PAND. (Trecento scudi al notaro? Capperi, il testamento è ricco, l'affare è buono). (da sé)
NOT. Item lascio a Zelinda, fìglia onesta e civile, ed a Lindoro sua marito, ch'hanno servito in casa con fedeltà, e ch'io ho sempre amati come figliuoli, la casa di mia ragione situata nella Strada Nuova, dirimpetto all'Università. (Zelinda e Lindoro si consolano e fanno zitto)
FABR. (Non è gran cosa). (da sé)
ELEON. (Una casa di quella sorte) (fremendo)
NOT. Item lascio ai medesimi, per tutta la lor vita naturale durante, due botti di vino all'anno e dieci sacchi di farina, parimenti per ciascun anno. (Zelinda e Lindoro si consolano, come sopra)
FABR. (Via via, non c'è male). (piano a Zelinda e Lindoro)
ELEON. (Mi pare si possano contentare). (da sé, ironicamente)
NOT. Item lascio ai medesimi...
ELEON. Ancora?
NOT. Io leggo quello ch'è scritto.
FABR. (Sentiamo, sentiamo). (piano a Zelinda e Lindoro, con allegria)
NOT. Item lascio ai medesimi un capitale di dieci mila scudi a loro libera disposizione. (Zelinda e Lindoro si consolano)
ELEON. (Questo è troppo. Scommetto che per me non avrebbe fatto altrettanto). (al Procuratore e a don Filiberto, fremendo)
FLAM. (Son contentissimo. Mio padre ha loro reso giustizia). (piano all'Avvocato)
FABR. (Mi consolo con voi, ma di cuore). (a Zelinda e Lindoro)
ZEL. (Povero padrone! darei tutto, purch'ei vivesse). (piangendo)
LIND. (Avete ragione; l'amor suo valeva un tesoro). (a Zelinda)
ELEON. Che avete che piangete, Zelinda? Vi pare poco? (ironicamente)
ZEL. Signora, la mia riconoscenza.
NOT. Permettetemi di terminare.
NOT. Item lascio a Fabrizio, mio mastro di casa, dieci scudi il mese fino ch'ei vive, e trecento subito per una sola volta. (Fabrizio si consola)
LIND. Mi consolo. (a Fabrizio)
ZEL. Me ne rallegro. (a Fabrizio)
FABR. Son contentissimo. (a Zelinda e Lindoro)
NOT. Item lascio ed ordino all'infrascritto mio erede di pagar in contanti alla Signora Donna Eleonora, mia carissima consorte, la somma che apparisce dalla mia confessione di dote aver da lei ricevuta, e ciò senza contradizione veruna.
ELEON. E qual contradizione ci potrebb'essere?
ELEON. Finite, finite di leggere. (Vediamo se si è sovvenuto della donazione reciproca. Questa è quella che mi sta sul cuore). (da sé)
NOT. Item lascio all'infrascritto mio erede di continuare a passare alla suddetta mia signora consorte il solito trattamento di vitto, vestito, servitù ed alloggio per tutto il tempo della sua vita, e venti scudi al mese per le spille. (donna Eleonora, Pandolfo, don Filiberto si consolano)
NOT. Con condizione però (tutti ascoltano attentamente) ch'ella resti vedova, e resti in casa con don Flaminio mio figliuolo; e s'ella volesse rimaritarsi, o non volesse restar in casa come sopra, non possa altro pretendere che la dote ereditata, consistente in dodici mila scudi.
ELEON. Vuol obbligarmi a restar vedova?
PAND. Sentiamo il fine. (a donna Eleonora) (Si farà una lite terribile) (da sé)
NOT. Item lascio, nomino e dichiaro, ed istituisco mio erede universale coll'obbligo de' sopradetti legati particolari, don Flaminio, mio unico figlio. (don Flaminio e l'Avvocato si consolano) Con condizione però (tutti ascoltano) ch'egli non si mariti con persona di grado inferiore al nostro, e sopratutto con una ch'avesse pubblicamente ballato o cantato sopra il teatro; (don Flaminio si rattrista) e maritandosi contro la mia presente disposizione, non possa egli conseguir altro che li beni fideicomissi, e la dote materna, e la quarta parte de' miei beni liberi, azioni, ragioni, crediti, e sostituisco nel caso suddetto per miei eredi universali Zelinda e Lindoro sunnominati. Ecco tutto l'essenziale del testamento. (tutti s'alzano. Don Flaminio e donna Eleonora agitati e malcontenti)
NOT. Signori, se non mi comandano altro, io anderò per i fatti miei.
FLAM. S'accomodi. Sarò a riverirla, ed a pagar il mio debito.
NOT. Mandino, quando vogliono, per la copia del testamento. Servitor umilissimo di lor signori. (s'incammina)
ZEL. Accompagnamolo almeno noi. (a Lindoro e Fabrizio)
LIND. Sì, usiamogli questa civiltà.
FABR. È giusto. Andiamo. (partono tutti tre col Notaro)