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FABR. Eccomi qui, Zelinda. Sono stato dal notaro, ed ho avuto la copia del testamento, cioè di quella parte che vi riguarda. Ecco la vostra copia, tenete.
ZEL. (Prende la carta senza parlare, e la mette sul tavolino senza guardarla)
FABR. Ho veduto or ora il padrone, ed è assai contento per un progetto dell'avvocato, che può render tutti contenti. (Zelinda lavora, e non dice niente) Ho sentito con mia consolazione, che in questo progetto voi pure, e vostro marito, siete compresi, e con vostro grand'avvantaggio.
ZEL. (Sospira, e si asciuga gli occhi)
FABR. Cosa è, che cos'avete, Zelinda? Siete trista, melanconica, par che piangiate.
ZEL. Niente. Vi prego di lasciarmi quieta. (lavora)
FABR. Ma che è mai questa novità? questa stravaganza? Vi veggio afflitta, piangente, in tempo ch'avete giusto motivo d'essere consolata, e di chiamarvi felice?
ZEL. Ah per me non v'è più consolazione, non v'è più al mondo felicità. (sospira e lavora)
FABR. Ma perché? cos'è stato? cos'è accaduto?
ZEL. Niente, lasciatemi piangere in libertà.
FABR. Vi prego, vi supplico, confidatemi la cagione di questa vostra tristezza.
ZEL. No, dispensatemi; è inutile ch'io vi parli.
FABR. Vi prego per la nostra buona amicizia. Ricordatevi ch'io non v'ho mai nascosto niente, che in ogni occasione ho confidato in voi, mi son fidato di voi, non credo di meritar questo torto. Non mi pare ch'abbiate motivo di diffidare di me.
ZEL. Bene: se voi promettete, se mi date parola d'onore di non dir niente a nessuno, vi confiderò anch'io quel segreto che m'agita, e mi tormenta.
FABR. Son galantuomo. Vi prometto di non dir niente.
ZEL. No, non mi basta. Ricordatevi che, quando m'avete confidato la lettera di don Flaminio, avete da me preteso un giuramento in parola d'onore. Se volete ch'io parli, assicuratemi colla stessa solennità.
FABR. Avete ragione. Vi giuro e vi prometto in parola d'onore di non dir niente a nessuno.
ZEL. E sopra tutto a mio marito.
FABR. E sopra tutto a Lindoro.
FABR. Parola d'onore. (Che diancine sarà mai?) (da sé)
ZEL. Sappiate dunque, mio caro Fabrizio, che il mio dolore, la mia afflizione proviene dal poco amore di mio marito. Ah! il mio marito non mi ama più. Ne son certa, ne son sicura, e senza l'amor di mio marito, non sento il bene, non curo la mia fortuna, e sarò sempre infelice. (Con afflizione)
FABR. Qual motivo avete di credere che Lindoro non v'ami più?
ZEL. Contentatevi ch'io ne sono sicura, ch'io ne he delle prove evidenti.
FABR. Zelinda, voi v'ingannate sicuramente. Non è possibile che Lindoro v'abbia perduto l'amore, anzi mi pare aumentata la sua tenerezza per voi.
ZEL. Non è vero. Il suo amore è scemato, e posso dire svanito. Mi guarda ora con indifferenza; ha ancora qualche amicizia per me, ma ben tosto m'aspetto che degeneri l'indifferenza in disprezzo, e l'amicizia sforzata in un vero odio mortale.
FABR. Voi mi dite delle cose che mi fanno tremare, inorridire, maravigliare. Ma vi supplico, vi scongiuro, ditemi qualche cosa di positivo che vaglia a farmi credere quel che dite.
ZEL. Ve lo dirò. Ma ricordatevi l'impegno d'onore.
FABR. Non temete. Son galantuomo, lo manterrò.
ZEL. Sentite, e giudicate se penso male.
FABR. Dite, dite. (Ho un'estrema curiosità). (da sé, e s'accosta bene a Zelinda)