Carlo Goldoni
Le inquietudini di Zelinda

ATTO SECONDO

SCENA TERZA   Lindoro e detti.

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SCENA TERZA

 

Lindoro e detti.

 

LIND. (Entra, vede li due e si ferma)

ZEL. Sappiate adunque che mio marito... Ma oh cieli! Eccolo qui per l'appunto. (piano a Fabrizio)

FABR. (Si ritira un poco dalla sedia)

ZEL. Andate, andate; un'altra volta finiremo il nostro ragionamento. (forte, acciò Lindoro senta, e s'ingelosisca)

LIND. No, no, terminate pare. Non abbiate soggezione di me. (fingendo indifferenza e giovialità)

FABR. Oh! non v'è niente che prema. Non sospettate che vi sieno dei segreti. (ridendo)

LIND. Io sospettare? Di che? non sospetto niente. (V'è qualche cosa che non vogliono che da me si sappia). (Da e passa fra il tavolino e Fabrizio)

FABR. Si parlava de' nostri legati. (con bocca ridente)

LIND. Ne son persuaso. (si volta verso Zelinda)

ZEL. (Aspetta il momento che Lindoro la guardi, e prende la carta, ch'è sul tavolino, e se la mette in tasca mostrando di non voler esser veduta, ma lo fa apposta perché Lindoro la veda)

LIND. Cara Zelinda, mi pare che siate afflitta... (affettando il discorso) Avete messo via una carta, mi pare... Non verrei che vi fosse qualche novità cattiva per noi. (sforzandosi di nascondere la curiosità)

ZEL. Non v 'è niente di nuovo. (lavorando)

LIND. Ma quella carta... Non crediate ch'io sia curioso, ma ho paura che qualche cosa vi dia della pena. (affettando come sopra)

ZEL. Vi preme di veder questa carta? (la tira fuori, e parla con un poco di forza)

LIND. No, non la voglio vedere. Mi basta solamente sapere da voi...

ZEL. E bene, se non la volete veder, tanto meglio. (la rimette in saccoccia)

FABR. (Mi dispiace che lo mette in sospetto). (da sé)

LIND. Ma non si potrebbe sapere... (a Zelinda)

ZEL. No; no, è inutile che lo sappiate. Parliamo d'altro.

LIND. Fabrizio. (accostandosi a lui)

FABR. Comandate. (con bocca ridente)

LIND. Voi saprete che cosa è quella carta?

FABR. Lo so certo. (come sopra, ridendo un poco più)

ZEL. Non è necessario che glielo diciate.

LIND. Non volete ch'io lo sappia?

FABR. Venite qui. Voglio levarvi io da ogni dubbio.

ZEL. (In questo tempo tira fuori di tasca due carte)

FABR. Quella carta è la copia del testamento.

LIND. Del testamento? (voltandosi verso Zelinda)

ZEL. Oh la copia del testamento? Signor sì, eccola . (la getta in terra) Quelli sono gli affari vostri. (accennando la carta) E questi sono gli affari miei. (mette in tasca l'altra carta)

LIND. (Ci scommetto che fa per provarmi. Ma non farà niente). (da sé)

FABR. (Raccoglie la copia ch'è per terra) (Non so che dire, vedo delle stravaganze che non capisco. Questa copia la custodirò io). (da sé)

LIND. Zelinda carissima, io non sono così indiscreto di voler saper tutto. Se avete delle carte ch'io non ho da vedere, siete una donna prudente, e lo farete per delle buone ragioni. Quel che mi penetra e m'interessa, è il vedervi turbata, e mi parete meco sdegnosa. Si potrebbe sapere che cos'avete?

ZEL. (Non risponde, e si mette a lavorare)

LIND. È qualche cosa che non possiate a me confidare?

ZEL. (Lavora, e non parla)

LIND. (Questo suo silenzio mi fa tremare). (da sé) Fabrizio, sapete voi qualche cosa?

FABR. No... no, non so niente. (in maniera che fa conoscere che sa qualche cosa)

LIND. Eh amico, capisco che voi ne siete informato. (poi guarda Zelinda)

ZEL. Oh sì, Fabrizio sa tutto, ma non parlerà. (a Lindoro)

LIND. Non parlerà? Per qual ragione non parlerà?

ZEL. Perché ha dato la sua parola d'onore di non parlare.

LIND. Che cos'è quest'imbroglio? (a Fabrizio)

FABR. È vero. Ho promesso di non parlare.

LIND. E ad un marito si fanno di tai misteri? (a Fabrizio)

FABR. Avete ragione. (È una cosa contro la ragione, e contro la convenienza). (da sé)

LIND. Zelinda, io non ho dubbi, non ho sospetti, ma questa cosa m'inquieta. Vi prego, son finalmente vostro marito, posso anche obbligarvi a parlare.

ZEL. No, è inutile la preghiera, sarebbe inutile anche il comando, non posso parlare, e Fabrizio ne sa il perché.

LIND. Fabrizio, per amor del cielo. (con ansietà)

ZEL. (Mi pare che principii ad ingelosirsi). (da sé, contenta)

FABR. In verità... se sapeste... ho pena anch'io.

LIND. Se siete un galantuomo, siete in obbligo di parlare.

FABR. Sì, è vero, un galantuomo dee dar conto di sé, non dee far sospettar della sua condotta. Sappiate dunque...

ZEL. Ehi, ehi, ricordatevi la parola d'onore. (a Fabrizio)

FABR. Che parola d'onore? La parola si dee mantenere quando si tratta di cose di conseguenza, ma questa è una bagattella, è una corbelleria, a fronte di cui ha da prevalere la quiete, la tranquillità d'un marito. (a Zelinda con forza) Sappiate dunque che vostra moglie è afflitta, è inquieta, perché crede che suo marito non l'ami più. (a Lindoro)

ZEL. (Balza dalla sedia) Bravo, Fabrizio, questo è un ripiego a tempo, come quello della lettera alla figlia dello speziale di campagna. Vi lodo, siete un galantuomo, un vero mantenitor della parola d'onore. So ch'avete detto che colla mia segretezza io faceva onor alle donne, e voi mantenendo così bene il segreto, osservando così ben la parola, fate onore grandissimo al rispettabile sesso virile. (con ironia, e parte)

 

 

 


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