Carlo Goldoni
I malcontenti

ATTO PRIMO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

La signora Leonide, poi il signor Roccolino col suo Servitore.

 

LEON. Se fosse mio marito gli avrei risposto: se non partirete voi, partirò io; ma sono ancora fanciulla, e col fratello non posso dire così. Non vedo l'ora di maritarmi.

ROCC. (Vestito da viaggio, cogli stivali grossi in piedi e colla scuriata in mano, seguito dal servitore che porta un valigiotto) Riverisco, riverisco, eccomi; riverisco.

LEON. Oh signor Roccolino, siete sollecito.

ROCC. M'hanno detto alle diciassette. Ecco la mostra della verità. Diciassette, meno quattro minuti. (mostra l'orologio e poi lo ripone)

LEON. Mio fratello, per ragione de suoi affari, non può partire questa mane. Abbiamo però differito per dopo pranzo.

ROCC. Benissimo. Partasi quando si parte. Io sono all'ordine per partire.

LEON. È quello il vostro bagaglio?

ROCC. Per obbedirvi.

LEON. È molto in diminutivo.

ROCC. Ma dentro vi sono delle cose superlative.

LEON. In che consistono? Poco vi può essere, per quel ch'io vedo.

ROCC. Polve di Cipro finissima, manteca odorosissima, melissa, samparelie, lavanda, ed una libreria intiera di canzonette novissime.

LEON. Bravissimo! mi piace l'idea, ci divertiremo. Ma non fate più stare colla valigia in collo quel poveruomo. All'ora del partire c'è tempo.

ROCC. Ora sono le diciassette in punto. (guardando l'orologio) Con permission di madama. Scaricate la valigia costì. (al servitore)

LEON. Se volete lasciar qui la valigia, siete padrone di farlo.

ROCC. La mia valigia non si allontana da me.

LEON. Dunque fatela portar con voi.

ROCC. Non signora, io resterò con essa.

LEON. S'intende che vogliate restar qui dunque?

ROCC. Son di madama dall'alba di questo giorno, sino alla sera che si ritornerà di campagna.

LEON. Ma oggi si starà male da noi; il cuoco non ha preparato niente.

ROCC. Non potrò mai star male, se io starò alla condizione di madama.

LEON. In verità, dovreste andare dalla signora Costanza e dalla signora Vittoria, ad avvisarle che sino al dopo desinare non si parte.

ROCC. Come volete ch'io faccia, signora, a muover i passi con queste macchine ai piedi?

LEON. Perché caricarvi co' stivalacci di peso?

ROCC. Per non mi rovinare le gambe, perché, ogni volta ch'io vo a cavallo, son soggetto a cadere tre o quattro volte almeno.

LEON. E dov'è il vostro cavallo?

ROCC. Il signor Ridolfo mi ha promesso di provvederlo.

LEON. Vi abbiamo anche da pagar il cavallo dunque?

ROCC. Solite grazie, solite finezze di tutti quelli che mi conducono a villeggiare.

LEON. In fatti non è poca fortuna per noi quest'anno avere in nostra compagnia il signor Roccolino. Tutti lo vogliono, tutti lo bramano.

ROCC. Io certo, non fo per dire, ma sono il condimento delle più belle villeggiature. Se si tratta di ballare, io ballo minuetti, furlane, con suoni, senza suoni, con chi ne sa, con chi non ne sa; e quando ballo io, tutti ridono, che si smascellano dalle risa. Io, bene o male, se occorre, prendo un violino in mano, e suono a rotta di collo. Per cantare poi ho un dono di natura, che tutti credono che io abbia studiata la musica, e non so nemmeno che cosa voglia dire la solfa. Canto alla disperata da tenor, da soprano, alto, basso, in compagnia, e solo, e non vi è nessuno che abbia l'abilità che ho io per cantar le canzonette di piazza. A tavola tutti ridono per causa mia; faccio rime stupende, e ho la facilità di far comparire per rima anche quello che non è rima. Quando ho bevuto un poco, sono deliziosissimo; non guardo in faccia a nessuno; insolenze a tutti, e prendomi poi senza avermene a male guanciate, scopellotti, sudicierie nel muso, e fino qualche volta mi hanno lordato da capo a piedi, che era una cosa da morir di ridere. Tutte le burle si fanno a me; io sono quello che tiene tutti in divertimento. Una volta mi hanno fatto prendere l'anguilla nel secchio; mi hanno fatto mangiare i maccheroni colle mani legate, mi hanno dato le polpette di crusca, e che so io, cento barzellette, tutte a me, signora. E quest'anno sono con voi. Farò vedere chi sono. Ho imparato a posta il gioco de' bussolotti, a fare sparir la moneta, a tagliar il nastro che resti intero, a far da un mazzo di carte saltar fuori un uccello. E vedere quei contadini, con tanta di bocca, a dire: oh che diavolo! oh che stregone! Vederete che balli, vederete che salti! Con questi stivalacci non posso fare. Voglio cavarmeli, e voglio farvi vedere. Basta, voglio farvi vedere. Sebbene siamo in città, s'ha da principiare l'autunno or ora, come se fossimo in villa. Madama, votre servitor, madama; allegraman toujour, allegraman, allegraman toujour. (parte)

LEON. Oh bravo, oh bravo! Questo è particolare davvero. Tutti procurano aver in villeggiatura con loro alcuno che faccia naturalmente, o sappia fare il buffone. Ma il signor Roccolino passa tutti. Sarà egli il nostro divertimento. Sono bene spesi i denari per coloro che ci fanno ridere. Mi ricordo di mio padre, che conduceva in campagna con lui dei dottori, dei letterati, dei virtuosi. Oibò, oibò, non si usa più. Gente allegra vuol essere, gente allegra. Ballo, canto, gioco, burle, spendere allegramente, spendere allegramente. (pare)



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