Carlo Goldoni
I malcontenti

ATTO SECONDO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

La signora Felicita e la suddetta

 

FELIC. Non parte ancora la signora Leonide? Serva sua.

LEON. Umilissima. Si è differito alla sera per maggior comodità. Di giorno fa ancora troppo caldo; abbiamo poi il benefizio della luna, che è un piacere viaggiar di notte.

FELIC. Quanto goderei che differissero sino a domani.

LEON. Perché? ha qualche cosa da comandarmi?

FELIC. Obbedirla sempre. Non signora, ma domani avrei l'onore di poterle servire di compagnia.

LEON. Per dove, signora Felicita?

FELIC. Per campagna, signora Leonide. Sa che i beni della nostra casa non sono lontani dai suoi. Potremmo, s'ella si degnasse, fare una carrozzata insieme.

LEON. Che dunque va ella pure in campagna?

FELIC. Oh sì, signora. Non vuole? Sarebbe bella che l'autunno non si andasse un po' a villeggiare. Ci vanno tanti, che non hanno un palmo di terra. Meglio ci possiamo andar noi, che abbiamo case e poderi.

LEON. Non ci è mai stata per altro in villeggiatura.

FELIC. Perché finora non ho voluto andarvi.

LEON. Ed ora le è venuta la volontà perché ci vado io, non è egli vero?

FELIC. Oh, pensi lei! Io non sono di quelle, signora. Grazie al cielo, non ho motivo d'invidiare il bene degli altri. Alla nostra casa non manca niente. Credo che ella lo sappia, quanto lo so io, chi siamo e chi non siamo.

LEON. Sì, anzi... favorisca. Va con quel vestito in campagna?

FELIC. Perché no? Non è egli proprio? Non è una cosa civile?

LEON. Mi perdoni. Si renderà ridicola con quel vestito in campagna.

FELIC. È forse troppo? Le par troppo ricco?

LEON. Vede, signora Felicita, che non sa niente? Non è alla moda. È da città, e non è da campagna. Vede il mio? Così va fatto. Tutte così lo portano, e chi non ha il vestito alla moda, non occorre si metta in impegno. Io non vi anderei certo in villa con un abito antico.

FELIC. Credo di aver il modo di potermelo fare un abito come quello.

LEON. Come questo non sarà così facile. È di buon gusto, sa ella? Il mio sarto, che veste le prime dame della città, mi assicura che il simile non l'ha fatto in quest'.

FELIC. Io non ci vedo poi questi gran miracoli.

LEON. Che! mi burla? Perdoni, signora Felicita; ella non se ne intenderà poi tanto. Per altro...

FELIC. Qual è il sarto che glielo ha fatto?

LEON. Monsieur Lolì. Lo conosce?

FELIC. Se lo conosco! Mi ha fatto questo che ho in dosso. Oh, guardi un poco!

LEON. Non so che dire. Quand'ella lo dice, sarà. Ma quello non mi pare il taglio di monsieur Lolì.

FELIC. Non sono capace di dire una cosa per un'altra. L'ha fatto egli medesimo colle sue mani.

LEON. Vi è una grandissima differenza. Può anch'essere che venga dal taglio di vita.

FELIC. Oh, oh, in quanto alla vita, cara signora Leonide, non mi pare di essere stroppiata.

LEON. Non dico questo. Ma non ci vedo il buon gusto.

FELIC. Pare a lei così, perché il mio vestito non è da campagna.

LEON. Sì, è vero; le cose compariscono buone o cattive, secondo in che vista si prendono. Per città non è cattivo quell'abito, ma in campagna non la consiglierei di portarlo.

FELIC. Io son capace di farmene uno a bella posta, subito subito.

LEON. Per quando?

FELIC. Per domani.

LEON. Monsieur Lolì non glielo fa in un mese.

FELIC. Coi denari si fa tutto, signora.

LEON. Vede questo? Venti giorni me lo ha fatto aspettare.

FELIC. Col denaro alla mano, anche i sarti sanno far delle meraviglie.

LEON. Se volessero denari, io li pago subito. Non sono di quelle che li fanno tornare più d'una volta. Li pago anche prima, se vogliono.

FELIC. (Il mondo non dice così per altro). (da sé)

LEON. E per questo sono servita bene, perché pago subito.

FELIC. Il signor zio ha questa massima anch'esso. Vuol godere dell'avvantaggio, ma paga subito.

LEON. E così noi, si paga subito.

 

 


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