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Il signor Ridolfo e la signora Leonide
LEON. Che ne dite? Ha sentito che noi andiamo in campagna, si è messa al punto di volervi andare anche lei.
RID. Ho piacere io di quest'incontro. Fatele buona cera alla signora Felicita, a suo padre ed a suo fratello.
LEON. Perché? Abbiamo forse bisogno di loro, noi?
RID. Cara sorella, sapete che sono genti ricche; la signora Felicita avrà una grossa dote, e mi comoderebbe moltissimo se potessi io sposarla.
LEON. Sposarla? Pensa ad ammogliarsi il signor fratello, e non pensa a maritar la sorella? Fino che ci sono io in questa casa, non ha da venir altra donna. Non voglio cognate, non voglio padrone che mi comandino. Accasate me prima, e poi penserete a voi, signor Ridolfo carissimo; e mi pare che a me dovreste avere di già pensato. Sono negli anni della discrezione, sapete; e tutti si maravigliano che una giovane, come me, non abbia ancora ritrovato marito. Grazie al cielo però, non vi sarà nessuno che creda provenire da me. Grazie al cielo, non ho difetti; e delle giovani come me, al giorno d'oggi, se ne trovano poche. Ell'è che io non ci penso gran cosa! che godo la mia libertà, e di legarmi vi è ancora tempo. Ma se pensate a prender moglie, maritatemi subito, subito, che non ci voglio star un'ora con lei; e se non me lo troverete voi il marito, me lo saprò trovare da me, che grazie al cielo ne ho più di dieci che mi vorrebbono, e posso scegliere, e posso vantarmi di dire che son sul fiore, e felice quello che mi potrà avere. (parte)
RID. La lascio dire, e me la godo, e non dico niente. Felice quello che potrà aver questa bella gioja! (parte)