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FELIC. Serva di lor signori. Perdonino. Ho veduto dalla finestra tornare la signora Leonide; la curiosità mi sprona. Come è riuscita la commedia di mio fratello?
LEON. Lo domandi al signor Mario.
FELIC. Mi dica qualche cosa, signore. (a Mario)
MAR. Eh, il signor Grisologo è giovine; si farà sempre meglio.
FELIC. Ma non ha fatto bene ora?
FELIC. Ha avuto applauso in teatro?
LEON. Ho sentito tre o quattro paia di mani che battevano.
FELIC. Battevano dunque? (a Mario)
LEON. Ed il signor Policastro come s'affaticava a battere!
FELIC. Anche mio padre batteva?
LEON. Anche lui, e il parrucchiere, e il sarto, e i portinai del teatro battevano terribilmente.
FELIC. È piaciuta dunque la commedia di mio fratello. (a Ridolfo)
RID. Si può sperare che l'universale l'abbia aggradita.
FELIC. (Buono, buono. Anderemo in villa). (da sé)
LEON. Che volevano significare, signor Mario, coloro che sbadigliavano?
MAR. Gente che non sa, che non bada.
FELIC. Ignoranti saranno stati.
LEON. E quelli che strillavano, che sussurravano, che corbellavano?
MAR. Potevano essere anche genti maligne.
FELIC. Genti mandate a posta saranno state.
RID. Non occorre badare a tutto.
FELIC. Basta, la commedia è riuscita bene. (a Leonide)
LEON. Riuscì a maraviglia.
LEON. Non ancora; siamo partiti ch'erano all'atto terzo, e la commedia è di cinque atti.
FELIC. Perché non è stata sino alla fine?
LEON. Perché dobbiamo partire.
RID. Ecco il signor Grisologo.
FELIC. La commedia è finita dunque.
LEON. Così presto? non è possibile.
MAR. Sarà venuto via innanzi, dunque.