Carlo Goldoni
Il matrimonio per concorso

ATTO PRIMO

SCENA OTTAVA   Filippo ed Anselmo

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SCENA OTTAVA

 

Filippo ed Anselmo

 

FIL. E bene, signore, siete voi contento?

ANS. Contentissimo; quanto vi dovrò contribuire per l'appartamento?

FIL. Contate di trattenervi qui molto tempo?

ANS. Non lo so ancora precisamente. Ho degli affari da consumare. Può essere ch'io resti poco, e ch'io resti molto.

FIL. Non s'inquieti per questo. Ella ha da fare con un galantuomo. Sono buon italiano. Mi pare dal linguaggio, che anche vossignoria sia della stessa nazione.

ANS. Sì, è verissimo. Sono italiano ancor io.

FIL. Viene d'Italia presentemente?

ANS. No, vengo di Spagna; vorrei sapere a press'a poco quanto dovrò pagar per l'alloggio.

FIL. Se si tratta a mese, non posso far a meno per quelle due camere di quattro luigi il mese.

ANS. Che sono all'incirca otto zecchini di nostra moneta.

FIL. Così è per l'appunto. Oh benedetti siano i nostri zecchini! è vero che non arrivano alla metà del luigi, ma qui si spende un luigi, come da noi si spende un zecchino.

ANS. Credo tutto ciò, ma quattro luigi il mese mi pare troppo.

FIL. Signore, nelle locande non si può spender meno. Se va in una casa particolare, spenderà la metà; ma poi non sarà servita. Converrà si provveda il mangiare altrove, o che se lo faccia da sé e vi vorrà un servitore, e i servitori a Parigi costano assai, e non fanno niente. Io sono locandiere e trattore, e la servirò ad un prezzo assai conveniente.

ANS. Che vuol dire, a qual prezzo mi darete voi da mangiare?

FIL. Vuol pranzo e cena?

ANS. No no, per il pranzo solo.

FIL. Quanti piatti?

ANS. Una cosa onesta.

FIL. Una buona zuppa...

ANS. Zuppa, zuppa, sempre zuppa; non si potrebbe mangiare quattro risi alla veneziana?

FIL. La servirò di riso, s'ella comanda, ma qui poco si usa e quando si , si fa cuocere quanto il bue. Però so il costume d'Italia, e sarà servita. Le darò un buon bollito, un'antremè, un arrosto...

ANS. Cosa significa un'antremè?

FIL. Un piatto di mezzo. Le darò le frutta, il formaggio, la fornirò di pane, di vino; e non mi darà che sei lire al giorno per due persone.

ANS. Sei lire di Francia, che sono dodici di Venezia.

FIL. Sì signore, questo è il meno che qui possa spendere.

ANS. (Ho capito, ci resterò poco; le mie disgrazie non mi permettono di soffrir questa spesa).

FIL. È contento, signore?

ANS. Bene bene, sopra di ciò parleremo; avrei bisogno di andare subito in qualche parte della città, per ritrovare alcuni miei amici e corrispondenti.

FIL. Perdoni, vossignoria è negoziante?

ANS. Sì, negoziante (ma sfortunato). Vorrei qualcheduno che m'insegnasse le strade.

FIL. Parigi è grande; s'ella ha da girare in più d'un quartiere, la consiglio di prendere una carrozza.

ANS. E quanto si paga di una carrozza?

FIL. Se vuole una carrozza che chiamasi di rimessa, si prende a giornata, e costa dodici franchi il giorno.

ANS. Ventiquattro lire di Venezia!

FIL. Se vuole un fiacher, ch'è una carrozza un poco male montata, ma di cui tutt'i galantuomini se ne possono onestamente servire, questa si paga a ragione d'un tanto l'ora. Ventiquattro soldi di Francia la prima ora, e venti soldi per ogni ora che seguita.

ANS. Benedetta la gondola di Venezia! con quaranta soldi di Francia, mi serve dalla mattina alla sera. Fatemi il piacere di ritrovarmi un fiacher.

FIL. Vado a servirla immediatamente. Ah signore, chi dice male della nostra Italia, è indegno di vivere a questo mondo. (parte)

 

 

 


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