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ATTO PRIMO
SCENA SEDICESIMA Doralice, poi Roberto, e poi il Servitore della locanda.
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Doralice, poi Roberto, e poi il Servitore della locanda.
DOR. Mi rincresce infinitamente dover incommodare una persona ch'io non conosco, ma la necessità mi obbliga a prevalermi della sua gentilezza.
ROB. Signora, voi sarete tosto servita.
DOR. Sono molto tenuta alle grazie vostre. (s'inchina, e vuol partire)
ROB. Vi supplico di trattenervi un momento.
DOR. Avete qualche cosa da comandarmi?
ROB. Vorrei aver io l'onore di presentarvi quel bicchiere di acqua che avete chiesto.
DOR. Scusatemi, signore, non vi è mio padre, e s'egli mi trovasse fuori della mia camera...
ROB. Avete il vostro signor padre con voi? (con premura)
DOR. Sì signore, ma ora è fuori di casa.
ROB. (Scommetterei ch'è questa sicuramente).
DOR. Con vostra permissione. (in atto di partire)
ROB. Un momento. Ecco l'acqua, accordatemi questo onore.
SERV. (Entra con un bicchiere di acqua sopra una sottocoppa)
DOR. (È sì gentile, ch'io non posso ricusare le sue finezze).
ROB. (Convien dire, se è dessa, che la locandiera ha ragione. Ella è la più saggia figlia del maggior pazzo di questo mondo). (prende l'acqua, e la presenta a Doralice)
DOR. Sono mortificata per l'incommodo che vi prendete. (beve l'acqua)
ROB. Niente affatto, godo anzi del piacer di servirvi.
DOR. Tenete. (vuol rendere il bicchiere al Servitore)
ROB. Favorite. (prende egli il bicchiere, e lo dà al Servitore)
DOR. (È di una cortesia impareggiabile!)
ROB. (Vorrei pur iscoprire la verità). Perdonate l'ardire il vostro signor padre è italiano?
ROB. Di profession negoziante?
DOR. Per l'appunto è un negoziante.
ROB. (Queste sono due circostanze che si confrontano perfettamente). Scusatemi, siete voi maritata, o da maritare?
DOR. Perché mi fate tutte queste interrogazioni?
ROB. Per non ingannarmi, signora. Per sapere s'io posso parlarvi liberamente.
DOR. Su qual proposito mi volete voi ragionare?
ROB. Compiacetevi di rispondere a ciò ch'io ho l'onore di domandarvi, e mi spiegherò senza alcun mistero.
DOR. Così è, sono ancor da maritare.
ROB. Vostro padre ha egli intenzione di maritarvi a Parigi?
DOR. Sì certo, so ch'egli lo desidera colla maggior premura del mondo, ed ha avuto la bontà di dirmi, che mi ha condotto in questa città unicamente per questo.
ROB. (Sì, è ella sicuramente). Vostro padre, signora, è un uomo molto bizzarro.
ROB. Non lo conosco, ma permettetemi ch'io vi dica con estremo mio dispiacere, che la sua condotta mi pare assai stravagante. Voi meritate d'essere trattata con maggior decenza, e non vi possono mancar de' buoni partiti, senza ch'egli ve li procuri per una strada sì irregolare, che fa gran torto alla vostra condizione ed al vostro merito.
DOR. Signore, vi domando perdono. Mio padre è un uomo saggio e prudente, e non è capace...
ROB. Voi potete difendere vostro padre quanto volete, ma non sarà mai compatibile, che un padre faccia pubblicar cogli Affissi che ha una figlia da maritare, e che i pretendenti saranno ammessi al concorso.
DOR. Come, signore? Mio padre ha fatto questo?
ROB. Così è: non lo sapete, o fingete di non saperlo?
DOR. Non lo so, non lo credo, e potrebbe essere che v'ingannaste.
ROB. Tutti i segni si confrontano, e voi ci siete dipinta perfettamente: giovane, vaga, gentile, di statura ordinaria, capelli castagni, bei colori, occhio nero, bocca ridente, figlia di un negoziante italiano, che vuol maritare la sua figliuola a Parigi, che alloggia in questa locanda. Siete voi quella sicurissimamente.
DOR. Non so che dire. Potrebbe darsi che mio padre lo avesse fatto. Se la cosa è così, avrà egli delle buone ragioni per giustificar la sua condotta.
ROB. Lodo infinitamente il rispetto che avete per vostro padre. Riconosco in voi sempre più la giovane di buon cuore nei fogli descritta. Permettetemi ch'io ripeta che il modo di esporvi non è decente, ma che voi meritate tutta la stima e tutte le attenzioni di chi ha l'onor di trattarvi.
DOR. Ah signore, sono una povera sfortunata. Mio padre ha avuto delle disgrazie. Ha qualche effetto a Parigi, l'amor suo è pronto a sagrificarlo per me, e potrei lusingarmi di un mediocre partito: ma s'egli mi ha posta in ridicolo, come voi dite, arrossisco di me medesima, non ho più coraggio di sperar niente, mi abbandono alla più dolente disperazione. Oh dio! convien dir che mio padre, afflitto dalle continue disavventure, abbia perduto la mente, oscurata la fantasia, ed io sono una miserabile, schernita, sagrificata.
ROB. Acchetatevi, signora mia: credetemi, il vostro caso mi fa pietà, il vostro dolore mi penetra, il vostro merito m'incatena. La curiosità mi ha spronato, l'accidente ha fatto ch'io vi conosca, e la stima che ho di voi concepita, mi consiglia e mi anima a procurare di rendervi più fortunata.
DOR. Oh dio! la vostra pietà mi consola.
ROB. Sarò io degno della vostra grazia, della vostra corrispondenza?
DOR. Voi mi mortificate, voi vi prendete spasso di me.
ROB. Ah no, non fate quest'ingiustizia alla tenerezza di un cuore, ch'è penetrato dal vostro merito e dalle vostre disavventure.
DOR. Il cielo benedica il vostro bel cuore.
DOR. Compatite la debolezza di un uomo perseguitato dalla fortuna.
ROB. Sareste voi disposta ad amarmi?
DOR. Suppongo che il vostro amore non potrà essere che virtuoso.
ROB. Degno di voi, e degno di un uomo d'onore, qual mi professo di essere. Roberto io sono degli Albiccini, negoziante in Parigi.
DOR. Vien gente. Permettetemi ch'io mi ritiri.
ROB. Non potrei accompagnarvi all'appartamento? Attendere con voi il ritorno di vostro padre?
DOR. No, se avete di me qualche stima, lasciatemi sola presentemente, ed aspettatelo, o ritornate, qual più vi aggrada; amo il mio decoro più della vita istessa. Signor Roberto, all'onore di rivedervi. (s'inchina, e vuol partire verso la sua camera)
ROB. Assicuratevi, che ho concepito per voi della tenerezza, che vorrei potervela far rilevare... (seguitandola)
DOR. Non vi affaticate per or d'avvantaggio. La vostra bontà mi ha penetrato bastantemente. (con tenerezza; parte ed entra)