BAI.
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Fra quante sono al mondo pessime infermità,
Sono gl’ipocondriaci quei che mi fan pietà.
Questo giovin dabbene, sì di lontan venuto,
Merta ben ch’io gli porga ogni più caldo aiuto.
Né via miglior di questa per risanarlo io veggio;
Cura, medicamenti, l’opprimerian di peggio.
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CRO.
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Bainer, mi conoscete?
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BAI.
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Signor, mi par di no.
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CRO.
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Or saprete chi sono; sediam, ve lo dirò. (siedono)
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BAI.
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(Un pessimo negozio; lo veggo nel sembiante). (da sé)
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CRO.
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Io sono il colonnello marchese di Croccante.
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BAI.
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Oh signor... (complimentandolo)
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CRO.
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Io son quello, medico mio garbato
Che scrivere vi fece per essere curato.
Voi venir non voleste in Fiandra a medicarmi,
E per parlarvi alfine dovuto ho incomodarmi.
Sembra che più rispetto si debba a un cavaliere.
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BAI.
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Leiden è la mia patria; qui faccio il mio mestiere.
I cavalier rispetto con ogni umil tributo;
Bainer non è, signore, un medico venduto.
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CRO.
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Conoscete il mio male?
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BAI.
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Astrologo non sono.
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CRO.
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Il color del mio volto parvi cattivo o buono?
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BAI.
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Parmi il rosso eccedente.
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CRO.
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Sapete
onde provenga?
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BAI.
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Esaminiam gli effetti, pria che alla causa io venga.
Dorme la notte?
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CRO.
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Poco.
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BAI.
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Gli serve l’appetito?
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CRO.
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Pochissimo.
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BAI.
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Gran sete?
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CRO.
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Son sempre inaridito.
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BAI.
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Bevere è necessario.
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CRO.
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Bevo quel che bisogna:
Quattro bottiglie al giorno di vino di Borgogna,
Canarie tutti i giorni per confortare il petto,
E un peccher la mattina di rosolin perfetto.
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BAI.
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E poi mi domandate da che provenga il rosso?
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CRO.
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Ho un foco nelle viscere, cui tollerar non posso.
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BAI.
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Siete a digiuno ancora?
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CRO.
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Scesi alla Posta un poco;
Mi sentia per le membra ed alla testa il foco:
Presi un pezzo di pane con del botir salato
E con del vin del Reno mi sono rinfrescato.
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BAI.
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Ecco la cagion vera del color porporino.
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CRO.
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Spropositi! nel volto ha da passare il vino?
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BAI.
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Oh sì signor; il sangue, d’atro color ripieno,
Ora v’infiamma il volto, e infiammeravvi il seno.
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CRO.
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Come ho da fare adunque a spegner la mia sete?
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BAI.
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Acqua, signor...
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CRO.
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Io acqua? Acqua mi proponete?
Questa è di tutti i medici l’usata medicina:
Non mi credea che foste medico da dozzina.
Dell’acqua ad un par mio? Acqua non assaggiai
Saran più di vent’anni, e non ne berrò mai.
E se miglior ricordo darmi voi non sapete,
Bainer, io non vi stimo quel medico che siete.
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BAI.
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Signor, vo’ soddisfarvi; ho un cantinin ripieno
Di vino di Sciampagna, che avrà sett’anni almeno.
Ho del Toccai perfetto.
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CRO.
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Bravo.
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BAI.
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Del vin di Spagna,
Del vino d’Ungheria, del vino di Bretagna.
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CRO.
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Bravo, così mi piace: del vin che mi conforti.
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BAI.
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E poi poco lontano abbiamo il beccamorti.
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CRO.
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È il cantinier costui?
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BAI.
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È quel che favorisce
Gli uomini quando crepano, è quel che seppellisce.
Beviamo allegramente, e poi presto a drittura
In men di quattro giorni si passa in sepoltura.
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CRO.
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Piano, piano di grazia; ho da morir per questo?
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BAI.
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O tralasciare il vino, o andarsene ben presto.
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CRO.
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Bainer, che non vi sia nella medica scuola
Qualche espediente? Almeno una bottiglia sola.
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BAI.
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Impiegherò ogni studio por consolarvi appieno.
Tralasciate di bere per un sol giorno almeno.
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CRO.
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Ho una sete terribile. Solo il ber mi consola.
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BAI.
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Acqua, signor.
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CRO.
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Non posso.
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BAI.
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Una giornata sola.
Via, per piacer vel chiedo. Il vino ha tal virtù,
Se un dì ve ne astenete, doman vi piace più.
Dopo d’aver bevuto dell’acqua in quantità,
Oh quanto saporito il vin vi riuscirà!
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CRO.
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Bainer, questa ragione par che mi persuada.
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BAI.
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(Convien con questi pazzi andar per ogni strada). (da
sé)
Dunque si è stabilito.
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CRO.
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Una giornata sola.
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BAI.
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Ma, signor, non mancate.
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CRO.
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Vi do la mia parola.
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BAI.
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Un cavalier non manca.
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CRO.
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Ditemi, non potrei
Porne così nell’acqua due, quattro dita, o sei?
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BAI.
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Signor, mi maraviglio. Se cavalier voi siete,
Mi deste la parola, vo’ che la mantenete.
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CRO.
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Bainer, un uomo grande siete a comun giudizio.
Alla virtù sia fatto l’enorme sagrifizio.
Potrete al merto vostro vantar per un tributo:
Il marchese Croccante un dì non ha bevuto. (parte)
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BAI.
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Ma a che siam noi soggetti? Quale destin maledico
Ammalati ci manda per impazzire il medico?
Ecco di noi meschini, ecco il delirio usato:
Dover colle ragioni cozzar coll’ammalato;
E chi non ha quell’arte ch’è necessario avere,
Per secondar l’infermo, tradisce il suo mestiere.
Lungi la soggezione, lungi i rispetti umani;
Franco si parli e schietto coi spiriti più strani.
Sia volgar l’ammalato, sia prence o cavaliero,
L’arte è una sola, e sempre dee prevalere il vero.
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