Carlo Goldoni
Il medico olandese

ATTO QUINTO

SCENA SETTIMA

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SCENA SETTIMA

 

Madama Elisabetta, madama Federica, madama Giuseppina e le suddette.

 

ELI.

Ma voi ci abbandonate.

MAR.

Scusatemi di grazia. (con agitazione)

FED.

Siete molto agitata.

GIU.

Oimè! qualche disgrazia?

CAR.

Ha avuto tal disgrazia per sua mala fortuna,

Che simile vorreste averne una per una.

MAR.

Via via, parliamo d’altro. Amiche, perdonate

Se troppo lungamente vi ho quasi abbandonate.

Un affar collo zio mi ha trattenuto qui.

CAR.

È un affar, sì signore...voi lo saprete un .

ELI.

Finor con quei filosofi siam state in compagnia,

Ma parlano di cose che fan melanconia.

Distinguere non sanno i tempi e le persone.

Cosa sappiamo noi d’influsso e proporzione?

Leggere qualche cosa, certo che non è male,

Di storia specialmente, di dogma e di morale;

Ma il studio delle donne, per me son persuasa,

Che prima debba essere l’economia di casa.

MAR.

Voi pensate benissimo.

FED.

Vi pare poco impegno

Dirigere una casa? qui pur spicca l’ingegno.

Gli uomini le ricchezze pensano ad acquistarle,

E noi con buona regola pensiamo a conservarle.

E di una brava economa il picciolo sparagno,

In casa a capo all’anno produce un bel guadagno.

GIU.

Intanto, s’io non fossi povera creatura,

Dovrebbon delle lettere pagar la copiatura;

E quello che risparmiamo, ch’è almen tre paoli al giorno,

Serve a lor per comprarmi quel che mi metto intorno.

CAR.

Madama, è qui l’amico. (con allegrezza a madama Marianna, avendo osservato fra le scene)

MAR.

Oimè! vien egli innante?

ELI.

Mi parete turbata. (a madama Marianna)

CAR.

Anzi è tutta brillante.

ELI.

Il perché può sapersi? Se non è qualche arcano.

CAR.

Cosa serve il non dirlo? già l’occultarlo è vano.

S’ha da saper fra poco. Madame, consolatevi,

Che la padrona è sposa.

ELI.

Davvero?

CAR.

Assicuratevi.

ELI.

Mi rallegro, madama.

FED.

Anch’io provo piacere.

GIU.

E chi sarà lo sposo?

CAR.

Quel signor forastiere.

ELI.

L’ammalato? (a madama Marianna)

MAR.

Sì, quello. (un poco ridente)

FED.

Andrete al suo paese?

MAR.

No, per grazia del cielo, anch’ei si fa olandese.

CAR.

Eccolo lo sposo. (accennando fra le scene)

ELI.

L’ora è tarda madama.

Tornare ai nostri tetti ora il dover ci chiama.

Per me grazie vi rendo alle finezze vostre.

MAR.

Madama, mi son note le costumanze nostre.

Lo so che conversare l’uso fra noi dispose

Le figlie colle figlie, le spose colle spose.

Però restar potete; sposa ancora non sono.

ELI.

Deggio partir, madama, domandovi perdono:

Consolomi di nuovo del vostro gentil sposo:

Il ciel con lui vi doni la pace ed il riposo.

Finor fu da sorelle fra noi tenero affetto,

Qual figlia in avvenire vi amerò con rispetto.

So che per nozze acquista donna un grado maggiore;

Ma voi, cara Marianna, siete umile di core,

E so che mi amerete con amistà perfetta,

E so che sarò sempre la vostra Elisabetta. (parte)

MAR.

Che bel cor! (a Carolina)

CAR.

Fa da piangere. (a madama)

FED.

Addio, diletta amica:

Il cielo vi consoli, il ciel vi benedica.

Credetemi, vel giuro, son dalla gioia oppressa;

Godo del vostro bene, qual farei per me stessa.

Fate il vostro dovere, amate il sposo vostro;

Ma deh, non vi scordate ancor dell’amor nostro. (parte)

GIU.

Datemi un bacio almeno. Or che diverse siamo,

Chi sa, gioia mia cara, quando più ci vediamo?

Ma basta, da fanciulle fummo amiche fidate,

Chi sa che non lo siamo ancor... da maritate? (parte vergognandosi e correndo)

 

 

 


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