Ah! questo foglio, amico, mi fa gioir non poco;
Avranno gl’inimici finito il loro gioco.
Gran cosa! a niun fo male, e son perseguitato;
Il pubblico m’insulta, e al pubblico ho giovato.
Di Francia era, il sapete, il comico teatro
In balia di persone nate sol per l’aratro.
Farse vedeansi solo, burlette all’improvviso,
Atte a muover soltanto di sciocca gente il riso.
E i cittadin più colti e il popolo gentile
L’ore perdean preziose in un piacer sì vile:
Gl’istrioni più abietti venian d’altro paese
A ridersi di noi, godendo a nostre spese;
Fra i quali Scaramuccia, siccome tutti sanno,
Dodicimila lire si fe’ d’entrata l’anno;
E i nostri cittadini, con poco piacer loro,
Le sue buffonerie pagarno a peso d’oro.
Tratto dal genio innato e dal desio d’onore,
Al comico teatro died’io la mano e il cuore;
A riformar m’accinsi il pessimo costume,
E fur Plauto e Terenzio la mia guida, il mio lume.
L’applauso rammentate dell’opera mia prima;
Meritò lo Stordito d’ogn’ordine la stima;
E il Dispetto amoroso e le Preziose vane
Mi acquistarono a un tratto l’onor, la gloria, il pane.
E si sentì alla terza voce gridar sincera:
Molier, Molier, coraggio; questa è commedia vera.
|