Carlo Goldoni
Il Moliere

ATTO SECONDO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Pirlone, poi Isabella.

 

PIRL.

Molier di noi fa scena, ci tratta da inumano,

E noi sarem veduti star colle mani in mano?

L’onor ci leva e il pane sua lingua maledetta,

E la natura istessa ci sprona a far vendetta:

Poiché viviam, meschini, di dolce ipocrisia,

Come quest’uomo vile vive di poesia.

Seminerò discordie fra queste donne e lui;

Procurerò distorle dalli consigli sui.

E se la sorte amica seconda il mio disegno,

Oggi la ria commedia non si farà, m’impegno.

ISAB.

Chi mi cerca?

PIRL.

Figliuola, vi benedica il cielo.

Perdonate, vi prego, la libertà, lo zelo,

Con cui per vostro bene io vengo a ragionarvi.

Ah, voglia il ciel pietoso che vaglia a illuminarvi!

ISAB.

Signor, mi sorprendete. Che mai dovete dirmi?

PIRL.

Presto, prima che giunga Moliere ad impedirmi.

Figlia, voi siete bella, voi siete giovinetta,

Ma un’arte scellerata seguir vi siete eletta.

Piange ciascun che voi, di vezzi e grazie piena,

L’onor prostituite sulla pubblica scena.

Ah! peccato, peccato, che il vostro amabil volto

S’esponga ai risi, ai scherni del popol vario e folto!

E quella che farebbe felice un cavaliere,

Mirisi sul teatro, seguace di Moliere.

Ma peggio, peggio ancora; si mormora e si dice

Che siate due rivali figliuola e genitrice,

E che quel disonesto ridicolo ciarlone

Voi misera instruisca in doppia professione.

ISAB.

Signor, mi maraviglio, io sono onesta figlia:

Moliere è un uom dabbene, e al mal non mi consiglia.

PIRL.

Non basta no, figliuola, il dire io vivo bene,

Ma riparar del tutto lo scandalo conviene.

Ditemi, in confidenza, ma a non mentir badate,

Voi stessa ingannerete, se me ingannar pensate.

Il ciel, che tutto vede, m’inspira e a voi mi manda;

Il ciel colla mia bocca v’interroga e domanda:

Avete per Moliere fiamma veruna in petto?

ISAB.

(Mentire non degg’io). Signor, gli porto affetto.

PIRL.

Buono, buono; seguite. Affetto di qual sorte?

ISAB.

Mi ha data la parola d’essere mio consorte.

PIRL.

La madre v’acconsente?

ISAB.

La madre non sa nulla.

PIRL.

Vi par che un tale affetto convenga a una fanciulla?

A una fanciulla onesta legarsi altrui non lice,

Se non l’accorda il padre, ovver la genitrice.

Perché non dirlo a lei?

ISAB.

Perché... perché so io.

PIRL.

Figliuola, non temete; v’è noto il zelo mio.

ISAB.

Perché mia madre ancora... oimè!

PIRL.

Via presto, dite.

ISAB.

Ama Moliere anch’essa.

PIRL.

Oh ciel! Voi m’atterrite.

Oh perfido Moliere! Oh uomo senza legge!

E il ciel non ti punisce? E il ciel non ti corregge?

Fuggite, figlia mia, fuggite un uomo tale,

Pria che la sua immodestia vi faccia un peggior male.

ISAB.

Ma come da Moliere potrei allontanarmi?

Son povera fanciulla, desio d’accompagnarmi.

PIRL.

Vi troverò marito. Vi troverò la dote.

Vi metterò fra tanto con pie donne e divote.

Io so che vi sospira per moglie un cavaliere;

Ma tace, perché fate quest’orrido mestiere.

Però col tralasciarlo, mostrando il pentimento,

L’amante che v’adora, sarà di voi contento.

Ah! s’oggi v’esponete, pensateci ben bene,

Perdete una fortuna che a voi meglio conviene.

ISAB.

E il povero Moliere?

PIRL.

Inutili riflessi!

La carità, figliuola, principia da noi stessi.

ISAB.

Oimè!

PIRL.

Su via, coraggio. Fanciulla, io vi prometto,

Che dama voi sarete di sposo giovinetto.

Per questa sera sola di recitar lasciate,

E se il ver non vi dico, a recitar tornate.

ISAB.

(Ah, non fia ver ch’io manchi di fede al mio Moliere).

Signore, io per marito non merto un cavaliere.

Di comica son figlia, e sol quest’arte appresi,

Arte che sol da voi trista chiamare intesi.

PIRL.

Fia bella se credete ai vostri adulatori,

Che nome di virtude dar sogliono agli errori,

Ma io che dico il vero, e lusingar non soglio,

Sostengo che il teatro all’innocenza è scoglio.

ISAB.

Ecco la madre mia; deh per pietà, signore,

A lei non isvelate il mio nascosto ardore.

PIRL.

Eh! san maggiori arcani tacere i labbri miei.

(Oggi, per quanto io posso, tu recitar non dei).

 

 

 


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