PIRL.
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Molier di noi fa scena, ci tratta da inumano,
E noi sarem veduti star colle mani in mano?
L’onor ci leva e il pane sua lingua maledetta,
E la natura istessa ci sprona a far vendetta:
Poiché viviam, meschini, di dolce ipocrisia,
Come quest’uomo vile vive di poesia.
Seminerò discordie fra queste donne e lui;
Procurerò distorle dalli consigli sui.
E se la sorte amica seconda il mio disegno,
Oggi la ria commedia non si farà, m’impegno.
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ISAB.
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Chi mi cerca?
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PIRL.
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Figliuola, vi benedica il cielo.
Perdonate, vi prego, la libertà, lo zelo,
Con cui per vostro bene io vengo a ragionarvi.
Ah, voglia il ciel pietoso che vaglia a illuminarvi!
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ISAB.
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Signor, mi sorprendete. Che mai dovete dirmi?
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PIRL.
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Presto, prima che giunga Moliere ad impedirmi.
Figlia, voi siete bella, voi siete giovinetta,
Ma un’arte scellerata seguir vi siete eletta.
Piange ciascun che voi, di vezzi e grazie piena,
L’onor prostituite sulla pubblica scena.
Ah! peccato, peccato, che il vostro amabil volto
S’esponga ai risi, ai scherni del popol vario e folto!
E quella che farebbe felice un cavaliere,
Mirisi sul teatro, seguace di Moliere.
Ma peggio, peggio ancora; si mormora e si dice
Che siate due rivali figliuola e genitrice,
E che quel disonesto ridicolo ciarlone
Voi misera instruisca in doppia professione.
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ISAB.
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Signor, mi maraviglio, io sono onesta figlia:
Moliere è un uom dabbene, e al mal non mi consiglia.
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PIRL.
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Non basta no, figliuola, il dire io vivo bene,
Ma riparar del tutto lo scandalo conviene.
Ditemi, in confidenza, ma a non mentir badate,
Voi stessa ingannerete, se me ingannar pensate.
Il ciel, che tutto vede, m’inspira e a voi mi manda;
Il ciel colla mia bocca v’interroga e domanda:
Avete per Moliere fiamma veruna in petto?
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ISAB.
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(Mentire non degg’io). Signor, gli porto affetto.
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PIRL.
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Buono, buono; seguite. Affetto di qual sorte?
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ISAB.
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Mi ha data la parola d’essere mio consorte.
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PIRL.
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La madre v’acconsente?
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ISAB.
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La madre non sa nulla.
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PIRL.
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Vi par che un tale affetto convenga a una fanciulla?
A una fanciulla onesta legarsi altrui non lice,
Se non l’accorda il padre, ovver la genitrice.
Perché non dirlo a lei?
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ISAB.
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Perché... perché so io.
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PIRL.
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Figliuola, non temete; v’è noto il zelo mio.
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ISAB.
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Perché mia madre ancora... oimè!
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PIRL.
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Via presto, dite.
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ISAB.
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Ama Moliere anch’essa.
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PIRL.
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Oh ciel! Voi m’atterrite.
Oh perfido Moliere! Oh uomo senza legge!
E il ciel non ti punisce? E il ciel non ti corregge?
Fuggite, figlia mia, fuggite un uomo tale,
Pria che la sua immodestia vi faccia un peggior male.
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ISAB.
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Ma come da Moliere potrei allontanarmi?
Son povera fanciulla, desio d’accompagnarmi.
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PIRL.
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Vi troverò marito. Vi troverò la dote.
Vi metterò fra tanto con pie donne e divote.
Io so che vi sospira per moglie un cavaliere;
Ma tace, perché fate quest’orrido mestiere.
Però col tralasciarlo, mostrando il pentimento,
L’amante che v’adora, sarà di voi contento.
Ah! s’oggi v’esponete, pensateci ben bene,
Perdete una fortuna che a voi meglio conviene.
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ISAB.
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E il povero Moliere?
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PIRL.
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Inutili riflessi!
La carità, figliuola, principia da noi stessi.
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ISAB.
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Oimè!
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PIRL.
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Su via, coraggio. Fanciulla, io vi prometto,
Che dama voi sarete di sposo giovinetto.
Per questa sera sola di recitar lasciate,
E se il ver non vi dico, a recitar tornate.
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ISAB.
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(Ah, non fia ver ch’io manchi di fede al mio Moliere).
Signore, io per marito non merto un cavaliere.
Di comica son figlia, e sol quest’arte appresi,
Arte che sol da voi trista chiamare intesi.
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PIRL.
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Fia bella se credete ai vostri adulatori,
Che nome di virtude dar sogliono agli errori,
Ma io che dico il vero, e lusingar non soglio,
Sostengo che il teatro all’innocenza è scoglio.
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ISAB.
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Ecco la madre mia; deh per pietà, signore,
A lei non isvelate il mio nascosto ardore.
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PIRL.
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Eh! san maggiori arcani tacere i labbri miei.
(Oggi, per quanto io posso, tu recitar non dei).
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