Carlo Goldoni
Il Moliere

ATTO TERZO

SCENA DODICESIMA

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SCENA DODICESIMA

 

Isabella, Valerio, poi Moliere.

 

VAL.

Timor non diavi l’ira dell’aspra genitrice;

Moliere che v’adora, faravvi un felice.

ISAB.

Ah, più soffrir non posso gl’insulti giornalieri;

La madre troppo cruda farà ch’io mi disperi.

Vivere non mi lascia un sol momento in pace;

Mi batte, mi minaccia, m’insulta, e mai non tace.

Mi struggo, mi divoro, non so quel che mi faccia.

Com’è possibil mai, che sulla scena i’ piaccia?

MOL.

Deh serenate, o cara, i vostri amati rai:

A togliervi di pene la guisa io meditai.

ISAB.

Moliere, oh ciel! Mi sento mancare a poco a poco.

MOL.

Nutrite, o mia speranza, nutrite il vostro foco.

Lasciate che a Parigi torni la real corte;

Della madre a dispetto vi farò mia consorte.

ISAB.

E quanto aspettar deggio?

MOL.

Non più d’un mese appena.

ISAB.

Soffrire ancora un mese dovrò cotanta pena?

Possibile non credo lo sforzo a questo core.

VAL.

(La povera fanciulla si sente un grand’ardore).

MOL.

Precipitar, mia cara, non deesi un’opra tale.

 

 

 


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