Stava dal duolo oppressa fra la vigilia e il sonno,
Che chiudersi del tutto questi occhi miei non ponno:
Quando la genitrice, piena di sdegno il viso,
Venne al mio letticciuolo, gridando: olà, ti avviso,
Alla novella aurora alzati dalle piume.
Disparve, e portò seco senz’altro cenno il lume.
Restai qual chi da tetro sogno fatal si desta:
È mia madre, dicendo, o qualche larva è questa?
Piansi, tremai, poi corsi a rammentar suoi detti;
Ed assalita i’ fui da mille rei sospetti
Perché dovrei levarmi doman pria dell’aurora?
Perché vien ella irata a dirmelo a quest’ora?
Ahimè! la mia rovina al nuovo sol m’aspetto.
L’attenderò, dicea, tranquillamente in letto?
Oimè! Molier, mia vita, ti perdo, se qui resto.
Balzo allor dalle piume: come poss’io, mi vesto,
Apro l’uscio socchiuso, odo russar mia madre,
E quai fra l’ombre vanno timide genti e ladre,
Stendo l’un piede, e l’altro sospendo in aria incerto,
Fin che l’altr’uscio trovo per mia ventura aperto.
Affretto il passo allora, balzo volando in sala,
Ritiro il chiavistello, precipito la scala.
Giungo alle stanze vostre, a voi ricorro ardita,
Eccomi ai vostri piedi a domandarvi aita.
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