Carlo Goldoni
Il Moliere

ATTO QUINTO

SCENA QUINTA

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SCENA QUINTA

 

La Béjart vestita succintamente, e detti.

 

BÉJ.

Perfida, qual disegno ti ha da Molier condotta?

Ah Molier traditore! Ah, tu me l’hai sedotta!

Rendimi la mia figlia, rendila, scellerato.

MOL.

Ella non è più vostra.

BÉJ.

Sì, ch’ella è mia, spietato!

Al ciel di tal violenza, e al tribunal mi appello.

Vieni meco, Isabella.

ISAB.

Signora, ecco l’anello.

BÉJ.

Lo strapperò dal dito...

ISAB.

Oibò.

BÉJ.

Vien qui, sfacciata.

ISAB.

Portatemi rispetto, son donna maritata.

MOL.

Eh, lo sdegno calmate, e fia per vostro meglio:

Sposo son d’Isabella, e in suo difesa io veglio.

Staccarmela dal fianco non vi sarà chi possa,

Congiunti in matrimonio vivrem sino alla fossa.

È vano il furor vostro, sia collera o sia zelo;

Non si discioglie in terra, quel ch’è legato in cielo.

BÉJ.

Oimè! morir mi sento. Moliere, anima indegna!

Colei che t’amò un giorno, or t’aborrisce e sdegna.

Restane, figlia ingrata, accanto al tuo diletto,

E sia per te felice, com’io lo sono, il letto.

Fuggo d’un uomo ingrato la vista che mi cruccia,

E andrò, per vendicarmi, a unirmi a Scaramuccia.

ISAB.

(Le darò il buon viaggio).

MOL.

E via, frenate l’ira.

PIRL.

Signora, quello sdegno che a vendicarvi aspira,

Farà pentirvi un giorno d’averlo il vostro cuore

Mal conosciuto.

BÉJ.

Invano mi parla un impostore.

 

 

 


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