Carlo Goldoni
Ircana in Ispaan

ATTO PRIMO

Scena Seconda: Fatima ed il suddetto

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Scena Seconda: Fatima ed il suddetto

 

FATIMA: Signore, un de' tuoi servi da Julfa or or venuto

Tamas per via, mi disse, aver testé veduto.

Ircana al fianco ha seco; verrà al paterno tetto

Insulti dall'ingrata soffrire ancor mi aspetto.

Tarda Alì il suo ritorno, di lui sono ancor priva:

Vuole il destino avverso ch'io tremi infin ch'io viva.

Fammi passar, ti priego, pria che s'innoltri il giorno,

D'Alì, benché lontano, all'amico soggiorno.

Alla sua sposa alfine tal libertà è concessa;

Non aspettar vedermi novellamente oppressa.

Deh tu, signor, che tanto per me soffristi, e tanto,

Fatima non esporre d'una nemica accanto!

Per me, sai che vendetta, ch'ira nutrir non soglio;

Ma non so ben d'Ircana quando avrà fin l'orgoglio.

MACHMUT: Fatima, non temere di quel furore insano;

Tamas al patrio tetto spera condurla invano.

Ei non è più mio figlio; nuora soffrir non degno,

Cagion del mio dispetto, principio del mio sdegno.

Vadan raminghi in Persia, vadano erranti al mondo;

Provin fra le sventure dei lor deliri il pondo;

Privarli d'ogni speme giustizia mi consiglia.

Alì viverà meco; Fatima è la mia figlia.

FATIMA: Signore, a me un tal dono so che goder non lice;

Sarei, se l'accettassi, più misera e infelice.

Potrei rimproverarmi, privando altrui d'un bene,

Di meritar gl'insulti, di meritar mie pene.

Finor soffersi in pace destin meco inclemente,

Godendo fra me stessa di un'anima innocente,

E crederei, cangiando il mio costume antico

Giustificar le colpe d'un barbaro nemico.

MACHMUT: Quei che la mia pietade offre a' tuoi merti in dono,

Son di giustizia effetti, stimoli tuoi non sono.

FATIMA: Chiamali del tuo sdegno, a vendicarsi intento,

Oggetti perigliosi, soggetti al pentimento.

Ora tu miri il figlio colle sue colpe intorno;

Gli accorderà il perdono tenero padre un giorno:

Ché lungamente, il sai, sdegno, furor non dura

Ad onta delle voci di provvida natura.

Né ti pensar, signore, ch'io condannar pretenda

Che il tuo paterno amore al sangue tuo si renda;

Anzi, se forza teco avesse un mio consiglio,.

Vorrei spingerti io stessa ad abbracciare un figlio

Che alfin, chi reo lo fece in faccia al genitore,

Fu il seduttor Cupido, dell'alme ingannatore.

MACHMUT: Parla così una sposa fin nell'onore offesa?

FATIMA: Grazie ad Alì, mio sposo, son nell'onore illesa.

MACHMUT: Ma d'un amante ingrato come soffrire il torto?

FATIMA: Saper ch'io non lo merto, signore, è il mio conforto.

MACHMUT: Fatima, la virtude che del tuo cuore è il nume,

In te produr si vedeamabile costume.

Ma la virtude istessa, ch'io pur nutro nel petto,

Suol per cagion diversa produr diverso effetto

Tu la pietade ostenti per legge d'amicizia;

Rigore usar io deggio per obbligo e giustizia.

Tamas è reo di colpa che merita il mio sdegno;

È il cuor della rea schiava di mia pietade indegno.

Se amor li rese uniti, se hanno le colpe insieme,

Giusto li abborre il padre, giusto il Signor li preme.

Quel che a ragion mi sembra maggior d'ogn'altro impegno,

È del feroce Osmano il superar lo sdegno

Questo tuo genitore meco prevedo irato.

Per la cagion del figlio, che ti abbandona ingrato;

E il torto che riceve nell'unica sua figlia,

So che vorrà si paghi da tutta la famiglia.

Ma dello sdegno ad onta, è padre, è umano anch'esso:

Andrò fin nel suo campo ad incontrarlo io stesso

Gli parleròumile, tanto offrirogli e tanto,

Che riportare io spero della vittoria il vanto.

Fatima, addio. Qui resta fin che da Osmano io rieda;

Fa che più lieta in viso al mio tornar ti veda.

Resta padrona in casa, quale venisti, e sposa:

I doni miei, ti prego, non isdegnar ritrosa.

Voce di cuor sincero ad esclamar ripiglia:

Alì viverà meco; Fatima è la mia figlia. (parte)

 


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