Carlo Goldoni
Ircana in Ispaan

ATTO TERZO

Scena Seconda. Scach Bey e detti

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Scena Seconda. Scach Bey e detti

 

SCACH BEY: Osmano, il gran Visir, che fida in tua virtute,

Per me d'amico in nome t'invia pace e salute.

Strano al Divan rassembra, strano al Sofì regnante,

Che qua, senza il lor cenno, rivolte abbi le piante;

E in luogo di condurre ver Babilonia il campo,

Qui splendere si vegga delle tue spade il lampo.

L'ordine a te fu dato di debellare il Trace,

Che della Persia nostra turba i confini audace:

Ciascuno all'inimico incontro andar ti crede,

E per cagion privata in Ispaan ti vede.

Le tue vittorie illustri, il tuo valore antico,

Fa che ti soffra il regno qual suddito ed amico;

E quel rigor che avrebbe forse con altri usato,

Teco sospender vuole, duce alla gloria nato.

Ordine ho sol di dirti che i tuoi guerrieri armati

Solo a pro della patria a te sono affidati;

Però colle milizie promovere non spetta

In faccia a chi comanda da te la tua vendetta.

Contro di chi ti offese parla, domanda e grida,

Conosci il tuo monarca, in lui solo confida.

Han giudice i privati che siede in tribunale;

Al torto che tu soffri, avrai giustizia eguale;

Ma il ritornar dal campo sol per sì vile oggetto,

Di fellonia può farti reo nel reale aspetto.

Onde ver l'inimico torna a calcar la strada,

O rendi alle mie mani, qual prigionier, la spada.

OSMANO: Bey, mente chi ardisce rimproverarmi in faccia

Di mancator la colpa, di fellonia la taccia.

Chi della Persia il trono con sue vittorie onora,

Difenderà il monarca col proprio sangue ancora.

Pubblici son miei torti. La lontananza sola

Di vendicar gl'insulti il comodo m'invola;

E se la mia vendetta pronta non uso e presta;

Nulla sperar dal tempo, nulla ottener mi resta.

Giudici, il so, ha la Persia, vendicatori eletti

All'onte, all'ingiustizie de' popoli soggetti;

Ma quai di lor mi vantigiusti ed illibati,

Che dubitar non possa dall'or contaminati?

Il mio nemico è tale che d'oro in casa abbonda;

Raro è quell'uom cui l'oro non piaccia e non confonda.

Del mio sovran conosco la virtù, la giustizia;

Ma anche sul cuor dei regi può dell'uom la malizia.

E a fronte dei vicini chi è al suo signor lontano,

Nella ragion che vanta, può lusingarsi invano.

Lungi non era il campo da questa reggia ancora;

Tornai senza fatica; farò brieve dimora.

Se il Re vuol vendicarmi, se del mio onore ha cura,

Comandi ai suoi soldati uscir da quelle mura.

Lasci che a mio talento possa sfogar lo sdegno

Contro d'un figlio ingrato, contro d'un padre indegno.

SCACH BEY: Suddito invan patteggia con chi governa e regge;

A te impor non si aspetta, devi accettar la legge.

O parti, o sei ribelle del Re, se fai dimora.

OSMANO: Pria che ribel chiamarmi, di' che ci pensi ancora.

SCACH BEY: Non minacciar.

OSMANO: Non temo.

SCACH BEY: Ti pentirai

OSMANO: T'inganni.

SCACH BEY: Ha da veder la Persia rinascere i tiranni?

Vuoi rinnovar tu adesso di Scach-Abass la storia,

Di cui sì dolorosa vive ancor la memoria?

Per chi? Per una figlia il valoroso Osmano

Sarà col suo signore ingrato ed inumano?

Pensa, vi è tempo ancora. Torna glorioso al campo,

Cerca all'error commesso, coll'obbedir, lo scampo.

Lascia la cura a noi di vendicar tuoi torti.

Reo non ti far con l'armi che in Ispaan ne porti.

Temi il Re che si offende, temi il Divan che ti ama

Temi la Persia tutta che il difensor ti chiama.

Presto si perde il merto dei conquistati onori.

Cambia sovente il fato in mirti anche gli allori.

Chi troppo in sé confida, spesso pentir s'udìo.

Non rovinar te stesso. Pensa all'onore; addio. (parte)

 

 


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