Carlo Goldoni
Ircana in Ispaan

ATTO TERZO

Scena Ottava. Scach Bey, con gente armata e detti

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Scena Ottava. Scach Bey, con gente armata e detti

 

SCACH BEY: Amici, l'empio s'arresti, o cada.

Cedere, Osman, tu devi o la vita o la spada.

FATIMA: Oh stelle! oh padre mio!

OSMANO: Perfidissimo fato!

Empia, sarai contenta. Il padre è disarmato.

Cruda, se tu non eri, l'indegno avrei ferito.

Lo stuol de' fuggitivi avrei fors'anche unito;

Né mi vedrei costretto, pien di rossori e pene,

Andar senza difesa incontro alle catene.

MACHMUT: Opra è del ciel codesta, stanco de' tuoi furori.

Vanne, superbo, e fremi; va alla tua pena, e mori.

FATIMA: Come! a morir mio padre? Tu lo puoi dir, spietato

In faccia di colei che ha il viver tuo serbato?

Pensa che se tua figlia farmi l'amor procura

Del valoroso Osmano figlia mi feo natura;

E non sperar vedermi un qua cessar dal pianto,

Se non ritorna il padre alla sua figlia accanto.(a Machmut)

OSMANO: Pria di più viver teco, voglio morire, ingrata

Figlia, che per mio danno, per mio rossor sei nata.

Bey, faccia la sorte il peggio che può farmi:

Più della morte istessa costei può spaventarmi.

Perfida, a pro degli empi il tuo bel core impegna.

Muoia chi ti diè vita.

FATIMA: No, genitore...

OSMANO: Indegna!(parte seguito da Scach Bey e soldati)

 


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