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IRCANA: (Tamas confuso e mesto, solo in giardin dimora?
Ah che m'inganni io temo, e che si penta ancora).
VAJASSA: (Sarà Ircana costei). (da sé)
IRCANA: (Fin che da lei diviso
Nol vegga, i' tremerò). (da sé)
VAJASSA: (Né anche mi guarda in viso). (da sé)
IRCANA: (So che quel cor che mi ama, debole ogni ora fu;
So che del padre ei teme). (da sé)
VAJASSA: Dimmi: Ircana sei tu?
IRCANA: Son io; da me che vuoi, si torbida in aspetto?
VAJASSA: Sei tu Ircana, o non sei?
IRCANA: Sì quella son, l'ho detto.(forte)
VAJASSA: Sai ch'io son la custode?
VAJASSA: E che orgogliose
Non mi han men delle schiave a rispettar le spose?
VAJASSA: Dunque meno arroganza.
Vattene, ed obbedisci, va tosto alla tua stanza.
VAJASSA: Non rispondere, ardita.
Vanne colà con Fatima; coll'altra sposa unita.
IRCANA: No, con colei non vado.
IRCANA: Con colei
Non vo' per verun patto passare i giorni miei.
Anderò in altro sito. (s’avvia verso la porta di mezzo)
VAJASSA: No, colà non conviene
Che venga il tuo consorte, là dentro non va bene.
Colà vi son le schiave, cara la mia figliuola,
E Alì, quando ti cerca, vorrà trovarti sola.
VAJASSA: Va tu fra quelle porte (le addita un’altra porta laterale)
Dirò che sei là dentro io stessa al tuo consorte.
IRCANA: Sì, fa che tosto ei venga; seco parlar desio.
VAJASSA: Vanne, non dubitare. So far l'uffizio mio.
IRCANA: Questo è quel dì fatale, in cui dee la mia sorte
Decider di mia vita, ovver della mia morte.(entra nell’altra stanza)