Carlo Goldoni
Ircana in Julfa

ATTO PRIMO

Scena Quinta. Demetrio ed Ircana

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Scena Quinta. Demetrio ed Ircana

 

DEMETRIO Ircana, il tuo costume, il labbro tuo è sincero?

IRCANA Son, qual mi vedi, oppressa, perché mi calse il vero.

Dissimular non seppi quel che chiudea nel petto

La mia sinceritade destò l'altrui dispetto;

Ed ho nel seno mio almaschietta e forte,

Che pria della menzogna, mi eleggerei la morte.

DEMETRIO: Di te il nero mi disse, credo, finora il meno.

IRCANA: Quel che ti tacque il nero, posso svelarti appieno

Disseti che foss'io da un finanzier comprata?

DEMETRIO Sì, lo disse, e che fosti poscia dal figlio amata.

IRCANA Sai della sposa?

DEMETRIO Ancora.

IRCANA Sai ch'io volea ferirlo?

DEMETRIO: Questo no.

IRCANA: M'odi dunque. In faccia tua vo' dirlo.

Dopo promesse tante, dopo lusinghe e vezzi

(A' quai, uomini ingrati, siete pur troppo avvezzi),

Dal genitor, che impero unir seppe al consiglio,

Sposa guidarmi in faccia lasciò sedursi il figlio.

Taccio di lei quell'arte onde gli avvinse il cuore;

Taccio le smanie estreme del mio schernito amore.

Dicoti sol che, armato di ferro il braccio forte,

Primo al suo destinava, indi al mio sen la morte.

Fui scoperta, sorpresa; sdegnossi il mio tiranno;

La mia rival si valse d'un amoroso inganno;

E in mio favor parlando con simulato affetto,

Vinse il cuor dello sposo, lo vinse a mio dispetto.

Al genitor sdegnato per me chiese perdono;

Scaltra, ottenne al mio scampo la libertade in dono.

Sul momento confusa, smanio, peno, m'adiro

Per parlar non ho voce. Parto con un sospiro.

Vecchia, che la mia fuga prima avea concertata,

Rapite a me le gioje, sola mi ha abbandonata;

E Bulganzar, che seco fuor m'attendea soletto,

Trassemi, non so come, fuor dell'amabil tetto.

Qual coi sensi sopiti opra taluno, e dorme,

Dietro condur mi lascio della mia guida all'orme

E d'Ispaan mi trovo fuor delle chiuse porte,

Senza saper s'io fossi viva, o in braccio di morte.

All'apparir del giorno, seppi dal mio custode

La fuga avvalorata dall'oro e dalla frode.

Seppi che la rivale avea contribuito,

Perché alla fuga il varco non fossemi impedito.

Cento immagini tetre di sdegno e di vendetta

Mi si destaro in mente; ma, ohimè che far soletta,

Misera, abbandonata, poteva in tal periglio?

L'ira alfin nel mio seno cedé il loco al consiglio.

Stanca, abbattuta, oppressa, volgomi al mio custode:

Abbi pietà, lui dissi, che n'avrai merto e lode.

Vendimi, se fia d'uopo, agli onorati Armeni,

Già che il destin spietato vuole ch'io viva e peni.

In così dir, sedendo, quasi fuor di me stessa,

Sentomi a poco a poco da dolce sonno oppressa;

Ma ohimè, che i sogni miei furo funesti a segno

Che trasseli le furie fuor del tartareo regno!

Sangue, stragi, ruine sol figurai dormendo...

Ah, signor, non temere, d'ira or più non mi accendo.

Faccia di me la sorte quel che destina il cielo;

Ti servirò discreta, ti obidirò con zelo.

Solo in balia mi lascia questo mio cuore in petto,

Che serba a quell'ingrato l'amore a mio dispetto.

Ira ho contro me stessa, vorrei potere odiarlo;

Ma, a mio rossore il dico, son costretta ad amarlo.

DEMETRIO : Donna, a pietà mi muove il tuo dolore estremo

Per te, de' casi tuoi, del tuo destino io tremo.

Seguimi in Julfa. Andiamo. Comodo avrai ricetto

Per ristorar te stessa sotto d'amico tetto.

Vo' che per or sospendi meco di serva il nome;

Celisi altrui per ora donde venisti, e come.

Cela il tuo sesso ancora coperto da tai spoglie,

Agli amici, ai congiunti, alla mia stessa moglie.

Rinvenirò Zaguro nella regal cittade,

Gli narrerò i tuoi casi per moverlo a pietade

Tornino omai serene le luci tue leggiadre

Un comprator cercasti; hai ritrovato un padre.

Tu ti donasti a me senza voler mercede;

Senza mercé ti giuro l'amor mio, la mia fede. (s’incammina)

IRCANA Numi, trovato ho un padre d'amor, ma non mi basta,

Se l'amor d'un ingrato la pace mi contrasta.

Toglietemi dal seno il contumace affetto,

O strappatemi, o Numi, questo mio cuor dal petto. (PARTE)

 


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