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Milord Bonfil e il cavaliere Ernold
ERN. A rivederci. (a Bonfil, in atto di partire)
ERN. Eh lasciatemi andare. Artur non mi fa paura.
BONF. Ditemi sinceramente...
ERN. Non mi manca né cuore, né spirito, né destrezza.
BONF. Rispondetemi. (forte)
BONF. Rispondetemi. (più forte, con caldo)
ERN. A che cosa volete ch'io vi risponda?
BONF. A quello ch'io vi domando. Come trovaste voi milord Artur e Pamela?
BONF. Quando?
ERN. Poco fa.
BONF. Non mettete in ridicolo la mia domanda. Le faceste far l'imbasciata?
ERN. Sì, ed ella mi fe' rispondere, che non mi poteva ricevere.
BONF. E ciò non ostante, ci siete entrato?
BONF. E perché?
ERN. Per veder che facevano milord e la vostra sposa.
BONF. Che facevano? (con ismania)
ERN. Oh! parlavano. (con caricatura maliziosa)
BONF. Che dissero nel vedervi?
ERN. La dama divenne rossa, e il cavaliere si fece verde.
ERN. Sì, certo; e non potendo trattenere lo sdegno, partì trattandomi scortesemente. Milord Artur prese poscia le di lei parti, ardì insultarmi, ed ecco nata l'inimicizia.
BONF. Deh sfuggite per ora di riscontrarvi.
ERN. S'io fossi in altro paese, l'avrei disteso a terra con un colpo della mia spada.
BONF. La causa non interessa voi solo; ci sono io molto più interessato, e la vostra contesa può mettere la mia reputazione al bersaglio. O sono falsi i vostri sospetti, o sono in qualche modo fondati. Prima di passare più oltre, mettiamo in chiaro una tal verità. Trattenetevi per poche ore, e prima ch'io non lo dica, favoritemi di non uscire da queste porte.
ERN. Bene: manderò intanto il mio servitore a prendere le mie pistole. Se niega di darmi soddisfazione, gli farò saltare all'aria il cervello. Io che ho viaggiato, non soffro insulti, e so vivere per tutto il mondo. (parte)