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PAM. Jevre procura invano di sollevarmi. Sono troppo oppressa dal mio dolore.
MIL. Gran cose ho di voi sentite, signora.
PAM. Deh, cognata mia dilettissima...
MIL. Sospendete di darmi un titolo, che da voi non mi degno ricevere. L'avrei sofferto più volentieri da Pamela rustica, di quel ch'io lo soffra da Pamela impudica. La sorte vi aveva giustamente trattata colla condizione servile, e non vi fe' ascendere al grado di nobiltà, che per maggiormente punire la vostra simulazione.
PAM. Miledi, il vostro ragionamento non procede da una misurata giustizia, ma da quel malanimo che avete contro di me concepito. Perché mi trovaste restia a condescendere ai vostri voleri, mi giuraste odio e vendetta; e quell'abbraccio che mi donaste nel cambiamento di mia fortuna, fu uno sforzo di politica interessata. Celaste il vostro sdegno, fin che non vi è riuscito manifestarlo; ora, per soddisfare al malanimo, vi prevalete delle mie disgrazie, e voi forse, unita all'imprudente nipote, corrompeste l'animo del mio sposo, e macchinaste la mia rovina. Con tutto ciò, non crediate ch'io vi odi, come voi mi odiate. Mi preme salvar l'onore, spero di farlo, ma se potessi contro di voi vendicarmi, credetemi, non lo farei. Lo sapete se vi sono stata amica una volta, e malgrado all'ingratitudine, lo sarei ancora nell'avvenire.
MIL. Vi ascolto per ammirare fin dove giunge l'ardire di una rea convinta.
PAM. Chi rea mi crede, mentisce.
PAM. Perdonatemi, non intendo di darla a voi, ma a chi ingiustamente mi accusa.