CAV.
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Spenderei la mia vita pel mio cocente
amore.
Tentisi pria
di tutto di don Fernando il cuore.
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FER.
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Cavalier, mi vien detto che, pria della
sua morte,
Un foglio abbia vergato donn'Anna mia
consorte;
E a voi, che per ventura foste colà
arrivato,
Abbia, acciò
mel recaste, quel foglio consegnato.
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CAV.
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È ver, la zia tremante dopo il primo
accidente,
Per voi formò un viglietto; lo diede a
me presente.
Ma il foglio mi richiese, meno dal male
oppressa,
Dicendo a mio consorte spero parlare io
stessa.
Lacerando lo scritto, seco a partir
m'invita,
Ma da un nuovo accidente la misera è
colpita.
Chiede a cenni da scrivere, la carta a
lei si porta,
La man più
non si regge, e in breve tempo è morta.
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FER.
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Infelice consorte! il ciel me l'ha
rapita,
Senz'avermi vicino al fin della sua
vita.
Mi amò dal primo istante che a me
divenne sposa,
Per tutti i giorni suoi fu sempre a me
amorosa.
Perderla non credeva sì presto, e sì
repente;
Sono e sarò per questo più misero e
dolente.
Chi sa che volea dirmi la sposa
sventurata?
Aveste in
pezzi almeno la carta a me recata!
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CAV.
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Allor non si è pensato che a procurarle
aita;
Per un secondo messo la nuova ho a voi
spedita.
Credei colà
vedervi, ma lo sperar fu vano.
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FER.
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Era per mia sventura vicino al mio
Sovrano.
Pria di vedere il messo, pria di esser
congedato
Giunse la notte, e seppi l'evento
sfortunato.
Ora l'andar che giova dell'infelice
accanto
Il cadavere
freddo a inumidir col pianto?
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CAV.
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Sono i sudditi vostri, i vostri servi e
amici
Pronti per onorarla ai più divoti
uffici.
La virtù vi disponga a serenar le
ciglia,
La perdita
ristori l'amor di vostra figlia.
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FER.
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Sì, quest'unico frutto del marital mio
letto
È l'unico conforto, che mi rimane in
petto.
Dolce, cara Isabella, figlia di
genitrice
Con cui, vivendo in pace, passai vita
felice;
Per essa raddoppiati saran gli affetti
miei
Mirando il
cuor dolente la genitrice in lei.
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CAV.
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Signor, ella è già nubile; se tal dite
d'amarla,
Pria di
mancar voi stesso, pensate a collocarla.
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FER.
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Ci penserò.
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CAV.
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Signore, le
preci sue divote
Vi offre per
ottenerla un ch'è vostro nipote.
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FER.
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Chi? Il duca
don Luigi?
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CAV.
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No, non è il
fratel mio
Che vi chiede
la figlia, no, mio signor son io.
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FER.
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Nipote, perdonatemi, recami maraviglia
Che da un secondogenito si chieda una
mia figlia.
Un cavalier cadetto, un che deve
avanzarsi
Nei gradi
militari, non pensa a maritarsi.
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CAV.
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Contro di una tal legge parlar mi sia
permesso.
Siam, mio germano ed io, nati da un
sangue istesso:
È un semplice accidente, che sia sortito
al mondo
Nella medesma culla un primo ed un
secondo.
Oltre di ciò, mio padre con amorosa cura
Fece a mio pro una pingue seconda
genitura.
Al mestier della guerra, è ver, fui
destinato,
Ma posso viver bene senz'essere
avanzato.
Né curo che si legga nella futura
istoria:
Il cavaliere
Ansaldo è morto per la gloria.
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FER.
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Nipote, a un vostro pari meglio pensar
conviene;
Degli uomini ben nati la gloria è il
solo bene.
A voi ed al germano varia i pesi la
sorte;
Voi servite alla guerra, egli fatica in
Corte.
L'una e l'altra incombenza, se si
riflette, è uguale;
È il ben, che ne deriva, proporzionato
al male.
Della guerra i disagi sono pesanti, è
vero,
Ma ha poi lunghi respiri il militar
mestiero;
Ed il servire in Corte, che par men
faticoso,
Si rende con il tempo stucchevole e
noioso.
Ancor
nei vari stati proporzïon si dà,
Chi
ha moglie ha maggior comodi, chi è solo ha libertà;
E
giudicar vi lascio, se rechi maggior pena
La privazion di sposa, o il don di una catena.
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CAV.
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Io
vuò da me medesimo eleggere il mio stato.
Rinunzio
a chi li apprezza i beni del soldato.
Posso anch'io da me stesso formare una famiglia.
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FER.
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Sì, formatela pure; non già colla mia figlia.
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CAV.
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Lo
so che destinate di darla a mio germano,
Ma
ch'io lo vegga e taccia, vi lusingate invano.
Anch'io
posso offerirvi senza arrossire un nodo;
Ed ho, se il ricusate, di vendicarmi il modo.
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FER.
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Nipote,
meno altero parlarmi io vi consiglio.
Cauto evitar pensate di perder il periglio.
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CAV.
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Amor
mi rende ardito. Voi mi sprezzate a torto.
Da
un zio, da un mio germano, gl'insulti io non sopporto.
Signor,
perdon vi chiedo. Non manco al mio rispetto.
Vi sarà noto un giorno quel ch'ora chiudo in petto. (parte)
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