MARI.
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Ditemi, galantuomo. (ad un Marinaro)
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MAR.
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Comandi, mia signora.
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MARI.
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Napoli avete in pratica?
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MAR.
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Me ne ricordo ancora.
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MARI.
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Il
duca don Luigi, signor di Ventimiglia,
Lo conoscete voi?
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MAR.
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Conosco la famiglia.
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MARI.
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Ite
a cercar di lui. Ditegli, che il piacere
Desia
di riverirlo al porto un forestiere.
Non
dite che sia donna quella che lo domanda.
Posso di voi fidarmi?
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MAR.
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Farò quel che comanda. (parte
inchinandosi)
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ROB.
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Servo
a donna Marianna; con vostra permissione,
Vo a rintracciar, s'io posso, comoda abitazione.
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MARI.
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Itene, don Roberto, a far quel che vi aggrada.
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PAO.
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E noi alloggieremo in mezzo ad una strada?
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MARI.
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Ritroverem
noi pure per ricovrarci un tetto,
Ma don Luigi in prima di rivedere aspetto.
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PAO.
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Veder non lo potrete in un albergo ancora?
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MARI.
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Se
il marinaro il loco non sa di mia dimora,
Come vuoi tu che seco conduca il cavaliere?
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PAO.
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Può
intanto don Roberto l'albergo provvedere.
Già,
se vien don Luigi, credo sarà tutt'uno,
E resteremo entrambe a stomaco digiuno.
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MARI.
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Per
me penso altrimenti; però son persuasa,
Che abbiaci don Roberto a provveder di casa.
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ROB.
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Lo farò
volontieri, giacché la sorte mia
Mi
fe' goder nel viaggio la vostra compagnia.
È
giusto che m'impieghi per voi con diligenza,
Se degno mi faceste di vostra confidenza.
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PAO.
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Per
noi fu una fortuna trovare in quel naviglio
Un
uomo, come voi, di senno e di consiglio.
In
verità là dentro, senza d'un uomo allato,
Di
due femmine sole non so che saria stato.
Per
servir la signora, cambiai le vesti e il nome,
Ma
mi conobber subito, e non saprei dir come;
Un
capitano inglese, pieno di carità,
Scherzando
del suo letto mi offerse la metà.
I
marinari accorti, bricconi, galeotti,
Mostrando
non conoscermi, mi dier dei pizzicotti.
E
senza don Roberto, che alfin mi ha preservata,
Affé, quei malandrini mi avrian precipitata.
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ROB.
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Servire
ad una dama accolto ho con piacere;
Con
lei, colla donzella ho fatto il mio dovere.
Ora,
per grazia vostra fidandovi di me,
Saprò comodo albergo cercar per tutti tre.
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MARI.
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Sì, cercatelo pure.
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PAO.
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Di Napoli voi siete;
Casa in Napoli aveste, ed or più non l'avete?
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ROB.
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Son
tre lustri passati, che fuor dalle mie soglie
Non
ho notizia alcuna nemmen della mia moglie.
Ora
dal Nuovo Mondo, dove finor son stato,
Sono
improvvisamente in Napoli tornato.
Placida,
mia consorte, chi sa dove dimora?
In
qual stato si trovi, e s'è più viva ancora?
Nel
coniugale albergo, là dove io la lasciai,
So
che più non dimora; di ciò me n'informai.
Napoli
è città grande, qua non si può la gente,
Senza
saper il sito, trovar sì facilmente.
Onde
cercar di lei dovrò di porta in porta,
Per giungere a sapere s'ella sia viva o morta.
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PAO.
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In un simile dubbio che dice il vostro cuore?
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ROB.
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Della
mia ingratitudine si desta in me il rossore.
Ebbi
una saggia moglie da me non meritata,
E troppo
ingratamente un dì l'ho abbandonata.
Soffrì
pazientemente ch'io gissi a lei lontano,
Nel
militare impiego servendo il mio sovrano.
Ma
in qualunque distanza, nel Nuovo Mondo ancora,
Notizia
lusingossi aver di mia dimora.
In
età giovanile, senza la sposa allato,
Di
lei poco mi calse, di lei mi son scordato.
Ora
in patria tornando, il mio dover rammento,
L'error,
l'ingratitudine detesto, e me ne pento.
Bramo
trovarla in vita, per chiederle perdono.
Temo
a lei presentarmi, un infedel qual sono;
Ma se
non ha cangiato la mia diletta il cuore,
Mi accoglierà, son certo, con tenerezza e amore. (parte)
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