Su gli
occhi miei, lo veggo, sei men crudele e audace.
Guerra
con me non brami; m'offri contento e pace. (getta la spada)
Misero
don Luigi! quanto avran fatto e quanto
Al
tuo docile cuore per lavorar l'incanto!
Già
ti vedea d'intorno folti congiunti e amici
Nozze
proporti illustri sotto i reali auspici.
So
gli argomenti accorti, so le ragion che avranno
Dette
per obbligarti, i perfidi, in mio danno.
E
tu misero e solo, confuso e a me distante,
Rendesti
a poco a poco quell'anima incostante.
Credi
tu ch'io non sappia, che il tuo bel cuore afflitto
Vide
me con isdegno a lacerar lo scritto?
E
che dubbioso ancora ch'io fossi a ciò forzata,
Mi
condannasti a torto, e mi dicesti ingrata?
No,
non lo son, tel giuro, eccomi a te dappresso
Con
quell'amor di prima, con il mio core istesso.
Son
quella stessa ancora, che si ti piacque un giorno,
Ho
quelle grazie istesse, che mi scorgesti intorno.
Queste
misere luci, che tu lodasti tanto,
Che
al tuo bel cor gentile fecero il dolce incanto,
Mirale,
son pur desse, e queste guance ancora,
Idolo
mio, son quelle che vagheggiasti allora.
Povera
sono, è vero, ma lo sapesti in prima:
Non
ho colpa novella, onde scemar di stima.
Son
di te degna, o caro, se ti consiglia amore;
Se mi abbandoni, ingrato, hai d'una belva il core.
|