Carlo Goldoni
Il padre per amore

ATTO TERZO

SCENA QUARTA   Il Principe Don Fernando, donna Placida e detti

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SCENA QUARTA

 

Il Principe Don Fernando, donna Placida e detti.

 

FER.

Duca, se amor cotanto sollecito vi rende,

Delle nozze il momento solo da voi dipende.

Il vostro e mio Sovrano agl'imenei consente.

ISA.

(Nulla gli è noto ancora). (da sé)

LUI.

(Ancor non saprà niente). (da sé)

FER.

Figlia, alla gioia vostra nuova ragione addito.

Dopo tant'anni e tanti, in Napoli il marito

Giunse di donna Placida.

PLA.

Ciò mi fu detto or ora;

Ma rintracciar lo feci, e non lo vedo ancora.

FER.

Consolatevi seco del fortunato avviso. (a donna Isabella)

Figlia, perché sì mesta, e sì dolente in viso?

Nota è a voi la cagione che le conturba il seno? (a donna Placida)

PLA.

Pria ch'io da lei partissi, l'animo avea sereno. (a don Fernando)

Or cambiata la trovo. Deh, qual ragion novella

Turba il vostro bel cuore, dolcissima Isabella?

FER.

Misero me! dagli occhi miro caderle il pianto.

Duca, il suo duol saprete voi che le foste accanto.

LUI.

So la cagion pur troppo, signor, del suo dolore.

FER.

Deh svelatela, amico.

PLA.

Oh Dei! mi trema il core.

LUI.

Ah, il dolor mi confonde della mia bella in faccia.

Vuole il dover ch'io parli; fa il mio rossor ch'io taccia.

ISA.

Ah, che celar non puossi il mio destin malvaggio.

FER.

Deh figlia mia, parlate.

PLA.

Deh, fatevi coraggio.

ISA.

Udite. (tira in disparte donna Placida, gettandole le braccia al collo)

(Ah, che mi manca nel palesarlo il core). (da sé)

(Il prence don Fernando non è il mio genitore). (piano a donna Placida)

PLA.

(Oh Dio! come scoperto si è mai codesto arcano?)

Duca, ciò sarà vero? (forte)

LUI.

Il dubitarne è vano.

FER.

Non mi tenete in pena. (a donna Placida e a donna Isabella)

PLA.

(Figlia, a voi chi lo dice?) (piano a donna Isabella)

ISA.

(Pria di morire, un foglio vergò la genitrice.

Del Cavaliere in mano vidi la carta or ora).

PLA.

(Scritto del padre è il nome?)

ISA.

(Non l'ho saputo ancora).

FER.

Ah, la mia sofferenza, donne, oramai stancate.

Qual arcano è codesto? Lo vuò saper, parlate.

ISA.

(Seco parlar non oso). (a donna Placida)

LUI.

Io svelerò il mistero...

PLA.

Niun più di me, signore, può palesarvi il vero.

Questa innocente figlia, che afflitta a voi si mostra,

Non è, qual voi credeste, non è figliuola vostra.

FER.

Santi numi del cielo!

LUI.

(Misero me! che sento?

Questo del mio germano sarebbe un tradimento?)

PLA.

Della padrona estinta l'ha palesato un foglio.

Son dell'arcano a parte, dissimular non voglio.

Deh, placido soffrite dalle mie labbra il vero,

E il vostro cor dubbioso rasserenare io spero.

Signor, dalla consorte che voi cotanto amaste,

Questi due lustri invano prole ottener bramaste.

Tumido il ventre alfine serena a voi le ciglia,

Di nove lune al termine diè alla luce una figlia.

Tanto di lei contento voi giubbilaste allora,

Che genitor più lieto non fu veduto ancora.

Del vostro amore il frutto chiedendo al ciel clemente,

Del sesso della prole voi foste indifferente;

E la gentil bambina, dal cielo a voi concessa,

Fe' duplicar gli affetti anche alla sposa istessa.

Dopo tre giorni appena, la misera consorte

Vide la cara figlia rapir barbara morte;

E più del suo cordoglio, l'afflisse il fier dolore

Del colpo inaspettato al cuor del genitore.

Amore in quel momento la sprona, e la consiglia

L'estinta pargoletta cambiar con altra figlia;

E per scemare al padre il doloroso affanno,

Supera i suoi rimorsi nell'amoroso inganno.

Voi la tenera figlia a ribaciar rivolto,

Quella vi parve agli atti, quella vi parve al volto.

Crescere la miraste saggia fanciulla onesta,

Foste di lei contento, e la fanciulla è questa.

FER.

Oh della mia Isabella care luci leggiadre,

Mi toglierà il destino l'onor d'esservi padre?

Ah no, questo mio cuore troppo, idol mio, vi adora:

Figlia finor mi foste, vi sarò padre ancora.

ISA.

Ah, da sì gran bontade sentomi il cuore oppresso.

PLA.

Oh tenerezza estrema!

LUI.

(Io son fuor di me stesso).

FER.

Ma da qual sangue è nata figlia che ha sì bel cuore? (a donna Placida)

PLA.

Signore, a tal domanda principia il mio rossore:

Ma dalla bontà vostra tutto sperar mi lice.

Della cara Isabella son io la genitrice.

ISA.

O cara madre! (gettandosi al collo di donna Placida)

PLA.

Ah figlia! (abbracciandola teneramente)

LUI.

(Ah, non trattengo il pianto).

FER.

(Al tenero mio cuore qual prodigioso incanto?)

 

 

 


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