CAV.
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Non
è l'amor soltanto, che accendami a tal segno.
Per
onor, per vendetta, son nel più forte impegno.
Quando
ogn'arte possibile abbia tentata invano,
Mi ha da costar la vita, o quella del germano.
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FAB.
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Parmi
ben stravagante che il prence don Fernando,
Un
uom di tanta stima, un uom sì venerando,
Scoperta
la ragazza non essere sua figlia,
L'ami
ancor come fosse nata di sua famiglia.
E il
duca don Luigi, che tanta gloria ostenta,
Come
mai di tai nozze s'appaga e si contenta?
Convien dir che sian ciechi ambi per troppo affetto.
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CAV.
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Dubito
che lo facciano per onta e per dispetto:
Ma
ingannasi chi crede sdegnarmi impunemente.
Cento
idee di vendetta mi passano per mente.
Inutile
fu quella del pubblicato arcano,
Ora
nella mia mente fondato ho un nuovo piano.
Sai
di donna Marianna l'arrivo a queste mura,
Sai
che ottener giustizia la femmina procura;
Ed
io, per sostenere l'impegno e la ragione,
La
vuò presso la Corte munir di protezione.
Spero
per questa strada di essere vendicato,
O che la sposi il Duca, o ch'ei sia rovinato.
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FAB.
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Può
esser che l'intento ad ottener si giunga,
Ma,
se ho da dire il vero, la strada è un poco lunga.
Se il
Duca un tal maneggio promuovere vi sente,
Potria
donna Isabella sposar segretamente.
E
quando legalmente il matrimonio è fatto,
Non basta per disciorlo un semplice contratto.
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CAV.
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Mandiam
per tutto Napoli a ricercar costei.
Quel
che tu fosti un giorno, Fabrizio, or più non sei.
Fosti un uomo di spirito, sei stolido al presente?
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FAB.
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Per dirvela, un ripiego mi era venuto in mente.
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CAV.
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Svelami il tuo pensiere.
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FAB.
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Sapete che partito
Della
governatrice da Napoli il marito,
Per
quello che discorrono, all'Indie si ritrova,
E
di lui la consorte mai più non ebbe nuova.
Nella
città conosco un certo lazzarone,
Che
fa del vagabondo la nobil professione.
Al
capitan Roberto tanto è simil costui,
Che
più di quattro volte l'ho preso anch'io per lui.
Affatto
lo somiglia al volto e alla statura,
Han
tutti due nel naso egual caricatura;
Ed
hanno tutti due, per singolar portento,
Un porro nella guancia, ed un vicino al mento.
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CAV.
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Possibile tal cosa?
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FAB.
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Credete a quel ch'io dico.
Io
fui, quand'era in Napoli di don Roberto amico;
E
quando il lazzarone per strada a me si appressa,
Rinnovo
nel vederlo la maraviglia istessa.
Più
volte di tal cosa ho seco ragionato;
Dice
che da altri ancora fu per error chiamato,
E
che trecento volte il capitan creduto,
Quelli
della milizia gli diero il benvenuto.
Trovandosi
in bisogno mi confidò il briccone,
Che
fingersi quell'altro avea la tentazione;
E
che se gli riusciva trovar simili spoglie,
Volea di don Roberto deludere la moglie.
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CAV.
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Stolto! colla consorte passar per suo marito?
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FAB.
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Son
più di sedici anni, ch'è il capitan partito.
Colle
immagini impresse del volto, e la figura,
Scommetto
che il marito lo crede a dirittura.
È
ver che nella voce non ha gran somiglianza,
Ma
questo può confondere del tempo la distanza.
Un
che dal Nuovo Mondo credesi ritornato,
Il
metal della voce può ancora aver cangiato;
Pronto sarei l'impresa a garantire anch'io.
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CAV.
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E ben, codesta favola che giova al caso mio?
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FAB.
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Emmi
venuto in testa, per fare una finzione,
Vestir
coll'uniforme codesto lazzarone.
Un
abito ho trovato da un rigattier romano,
Colla
divisa istessa che usava il capitano,
Con
spada e con bastone all'uso militare,
Che
meglio a don Roberto farallo assomigliare.
Ciò
in pensar mi è venuto, dopo lo scoprimento
Che
di donna Isabella fe' noto il nascimento.
Lasciò
la moglie incinta il capitan Roberto;
Ma
né lui, né la sposa, non lo sapean di certo.
Dunque in faccia del mondo può dir può sostenere...
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CAV.
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Il
Duca mio germano parmi colà vedere:
Seco è il prence Fernando. Vien meco in altra parte.
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FAB.
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Andiam,
tutto il progetto vi dirò a parte, a parte.
Basta che mi accordiate danaro e protezione.
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CAV.
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Tutto avrai ciò che brami. (parte)
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FAB.
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Conosco il mio padrone.
Lo
so che all'occasioni prodigo sempre fu.
Se or non mi faccio un abito, non me lo faccio più. (parte)
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